IL NOME PROPRIO DI DIO: DIO E’ PADRE, MA NON E’ NE’ MASCHIO NE’ FEMMINA  …   E NON CASTIGA NESSUNO

PROVO A RIFLETTERE AD ALTA VOCE

SCHEMA

  1. Padre
  2. Complicata relazione con il Padre
  3. Assenza della madre
  4. Dio che accoglie il perduto
  5. Dio non castiga nessuno
  6. Tentativo di spiegazione
  7. Che dire dell’inferno
  8. Dio è sempre buono
  9. Conclusioni
  1. IL PADRE

Gli studiosi si rifanno al biblista tedesco Jeremias J. “Abbà”, 1966, dicendo che quello di Abbà, Padre è il nome che Gesù usa rivolgendosi a Dio, con un’unica eccezione. Gesù parlava con Dio come un bambino con suo padre, pieno di fiducia e sicurezza, secondo Jeremias.

Anche per tutti i cristiani Dio è Padre e la comunità cristiana usava “Abbà, Padre” per rivolgersi a Dio fin dalle origini. La parola Padre è uguale a Dio (in greco ò thèos).

Ma nel Nuovo Testamento non c’è nessuna dottrina sulla Trinità (come viene definita nel 4° secolo dal 2° Concilio di Costantinopoli, a. 381) che nessuno oggi mette in discussione.

Quando parliamo perciò di Padre, parliamo di Dio utilizzando i testi del N.T.

Ma parlando di questo Dio, che si confonde con l’umano, continua però ad essere “Padre”, Dio trascendente.

  • RELAZIONE COMPLICATA CON IL PADRE

A prima vista dire che Dio è “padre” ed ancor più “Dio è il Padre” ci dà un’impressione gratificante: dovrebbe dare a tutti speranza e felicità. Però, nei fatti, non è così, molti hanno dubbi, difficoltà ed alcuni arrivano a rifiutare Dio, ma non è perché non accettano che Dio sia padre.

Pensiamo a ciò che significa “padre” per un figlio: protezione di fronte ad ogni minaccia. Ma nell’esperienza pratica non è così: orfani ,figli non amati e “bambini di strada” ,quale esperienza hanno? Negativa. Padre, poi, è sicurezza per il figlio, “spiegazione” di tutto quello che lui non sa spiegare. Però il problema più importante si pone sull’autorità, sul potere del Padre che comanda, proibisce, minaccia e castiga. Ed è ciò che un figlio più detesta e la relazione con il padre è più complicata di quanto ci si immagina.

  • ASSENZA DELLA MADRE

Dio non è né maschio né femmina, né uomo né donna, non si può capire partendo da categorie sessuali.

Ma le grandi religioni “del libro” (giudaismo, cristianesimo ed islam) continuano ad essere religioni maschiliste. Dio, quindi, con queste culture, non lo si può figurare che come maschio, con potere, autorità, dominio.

Ma noi umani abbiamo padre e madre: perché, allora, ci rappresentiamo Dio solo come padre?

La questione centrale, però, è sapere se rappresentare “Dio come il Padre” può rendere felici i credenti di quella religione. Perché ogni essere umano porta in sé il mascolino ed il femminino dall’origine della nostra vita, nelle prime esperienze nell’utero materno. Poi noi interpretiamo il sesso forte (come maschile) ed il sesso debole (come femminile). Ma in realtà non è proprio così perchè sono complementari. Quindi non possiamo reprimere parte di noi stessi: reprimere l’affettività, la tenerezza e la delicatezza per esaltare potere, forza, dominio. E con questa “cultura” prende il sopravvento la violenza che ognuno si porta dentro.

E questo ha segnato anche la religione che nasce da una cultura maschilista, una religione in cui Dio deve essere maschile, forte, mai femminile, tenero, affettivo.

E’ vero che Gesù invocò sempre Dio come padre, mai come madre. Ma Gesù è un giudeo, educato in quella cultura, come faceva a presentare un Dio diverso da quello onnipotente?

Eppure la carenza del femminile deve essere in qualche modo sostituita. E, forse, è qui che entra Maria, la Vergine che rappresenta ciò che non si trova in Dio Padre. Maria, quindi, diventa la “Madre” di Cristo e nostra, sostituendo l’elemento femminile che manca e parcheggiando l’argomento di Dio-Padre.

  • CONTRO LA PAURA DI DIO CHE PARALIZZA.

Dobbiamo togliere le “false immagini di Dio” che molta gente ha nella sua coscienza: Dio giudice è una minaccia da cui proteggerci.

Quando capita una disgrazia (malattia, incidente, …..) è un “castigo” di Dio per i nostri peccati.

Con questo Dio che castiga, minaccia, dobbiamo farla finita.

Forse ci può aiutare la parabola dei talenti (Matteo 25,14-30) interpretata correttamente.

Gesù fa a tutti noi un richiamo alla responsabilità: rispondere positivamente a quello che ci dà, al suo grande amore. Ma l’idea che Dio fosse “duro” spinge uno a nascondere il talento sotto terra per la paura di Dio che lo paralizza, rende sterili le persone. Invece Gesù voleva proprio smontare questa immagine ufficiale di Dio, quella dei farisei, che metteva paura. Lui è il Dio che accoglie il “perduto”, il padre del figlio prodigo (Luca 15,1-32) che scandalizza il fratello.

  • ACCOGLIE IL PERDUTO

La parabola del “figlio prodigo” è la più utilizzata per parlare di Dio Padre.

Prima questione è il titolo che orienta la chiave di lettura: come si comporta Dio con chi si perde, con chi è traviato o vive come un disorientato? E Luca cap. 15 lo fa anche con altre due parabole: la pecora perduta e la moneta smarrita.

Racconta delle peripezie di un ragazzo, sfacciato, che chiede al padre l’intera quota di eredità che gli spetta; spende e spande, si degrada, si smarrisce nella miseria ed allora si ricorda di suo padre e torna a casa per riempirsi la pancia. Si prepara un discorso con l’idea di presentare le sue spiegazioni. Il padre, che lo ama, non lo lascia neanche parlare, lo abbraccia, lo bacia, è contento che sia con lui. La seconda cosa che nota è che il fratello “buono della famiglia”, ma con lo spirito e la mentalità da fariseo, che disprezza il fratello perduto e non accetta questo atteggiamento del padre che accoglie ed ama.

Gesù viene a spiegarci come è Dio, che non vede i peccatori come persone cattive, che non provocano risentimento. E conclude: Dio non è come normalmente lo immaginiamo. E’ umano fino ad un punto scandaloso, profondamente umano. Non è il padrone che paga secondo i meriti. Questo criterio non serve, con Dio le relazioni non sono basate sull’interesse, sul merito, ma sull’amore e sull’affetto.

Continuiamo a dire “Dio premia ciascuno secondo i suoi meriti”, no! Dobbiamo liquidare questa figura di Dio. Dio non si relaziona con noi a partire dai meriti, ma a partire dalla sua generosità e dai nostri bisogni. Le pratiche religiose non sono un sistema di scambio, Dio non ha niente a che vedere con questi criteri.

  • DIO NON CASTIGA NESSUNO

Se crediamo nel Dio che ci ha insegnato Gesù è un Dio che non castiga nessuno, né in questa né nell’altra vita. Quando gli facciamo fare questo, ci riferiamo ad un Dio padrone, che condanna per sempre e rifiuta chi lo ha rifiutato. Non possiamo difendere questa immagine di Dio, è incompatibile con Dio che vuole per i suoi figli la felicità di vivere.

Se, invece, Dio incombe su di noi come una minaccia di castigo non può essere fonte di felicità, ma la cosa peggiore che possa toccare agli uomini. E’ causa ultima dei mali di questo mondo, di tanta miseria, tanta indegnità.

La domanda che, allora, gli uomini si sono posti è quella sull’origine del male, della sofferenza: perché soffriamo? E sempre gli uomini hanno trovato la risposta in Dio. In più i cristiani hanno aggiunto una relazione tra Dio e le presunte sofferenze interminabili dell’altra vita, quella eterna, nell’aldilà. Questo Dio castigatore, torturato non ci sta con il Dio di Gesù Cristo.

Allora si incolpa l’uomo per discolpare Dio, la colpa non ce l’ha Dio, ma l’uomo che è cattivo e la sofferenza (v. Giobbe) è letta come castigo per il peccato. Ci si arrangia dicendo “ci castiga permettendo mali e disgrazie”. Ma se crediamo in un Dio Padre, che è amore e misericordia, non può essere questo e si deve dire che Dio non castiga nessuno. Questo Dio non vuole la sofferenza degli esseri umani e non è possibile spiegare perché Dio permette il male.

  • TENTATIVO DI SPIEGARE

Dio ed il male sono due realtà che stanno oltre la nostra capacità di spiegare: non sappiamo armonizzare questa sofferenza e Dio.

Che cosa però sappiamo?

  1. La ragione da sola non basta per farci arrivare a Dio. Sono altre dinamiche che ci fanno arrivare a lui.
  2. “Dio nessuno l’ha mai visto”, oltrepassa la nostra capacità di comprensione, non sta alla nostra portata.
  3. Lo abbiamo conosciuto nell’uomo Gesù di Nazareth, possiamo sapere di Dio solo quello che lui ci ha insegnato. Chiaro è che “passò beneficando e risanando”, non castigò nessuno. La sua ansia fu alleviare la sofferenza umana, liberare i prigionieri, dare la buona notizia ai poveri e da lui possiamo capire come è il Dio in cui crediamo.
  4. Sicuro è che Dio non è causa di sofferenze, ma promette felicità e speranza a quanti soffrono. Non ha rivelato Dio soluzione e sollievo di tutti i mali, ma, tantomeno, che ha bisogno della sofferenza umana. E questo ai dirigenti religiosi era insopportabile.
  5. Certo è che Dio non è un tiranno che castiga, né uno che manda disgrazie.
  6. Con questo non escludiamo di ricorrere a Dio nella preghiera e di presentargli le nostre angosce.
  • CHE DIRE DELL’INFERNO?

Dio non castiga nessuno né in questa vita né nell’altra. Dio, ci ha insegnato Gesù di Nazareth, è infinitamente buono e misericordioso. Ed allora come la mettiamo con l’inferno?

Quel Dio che colleghiamo all’inferno non è il padre che educa il figlio che ama, ma un padrone che maltratta esseri indifesi, li condanna per sempre e rifiuta senza speranza di soluzione.

Questo Dio fa piazza pulita di quel Dio Padre-Madre infinitamente buono e misericordioso.

Un Dio che castiga con sofferenze inimmaginabili è incompatibile con il Dio che vuole la felicità per i suoi figli. Un Dio, minaccia di castigo, non può essere fonte di felicità.

All’origine vi è il problema del male, al suo significato che non ha una risposta logica. Ma il rapporto più complicato ancora viene da alcune religioni, tra questa la cristiana, che ha creato relazioni tra Dio e sofferenza in questa vita, ha affermato una relazione stretta tra Dio e la sofferenza nell’altra vita, eterna!

Se Dio è effettivamente responsabile del male, questo Dio castigatore che permette le disgrazie in questa per rimediare benefici, ma poi castiga senza rimedio “nell’altra” vita, è assurdo, senza senso.

  • INCOLPARE L’UOMO?

Visto che incolpare Dio è difficile da provare, si è provato ad incolpare l’uomo “peccatore e cattivo” con l’esempio di Adamo ed Eva, che vivevano in un mondo senza alcun male, ma furono espulsi dalla felicità a causa del peccato che commisero.

Così da Dio si passa ad incolpare l’uomo. Perché allora Dio ci ha fatti cos’, liberi di peccare? Perché permette il male?

  1. DIO E’ SEMPRE BUONO

Il “discorso della montagna” di Gesù dice “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori.….. Siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il sole sui malvagi e sui buoni” (Matteo 5, 44 …..).

Ma poi continua “Siate perfetti come Dio è perfetto” e la sua perfezione è bontà senza limiti.

Dio vuole che agiamo con tale bontà, ma che siamo anche buoni con i cattivi. Lui, per noi, ha un amore forte, sicuro: è buono sempre, sta sopra il bene ed il male, ci ama senza riserve, qualsiasi sia il nostro comportamento.

Qui sta il grande problema della convivenza umana: amare anche ci è contrario alle mie idee, perfino nemico. Cos’ riusciamo a “capire” la relazione aperta che il Padre ha con noi.

CONCLUSIONI

A Dio arriviamo con il linguaggio umano: “Padre”. Alla base vi è l’esperienza umana, ma il Nuovo Testamento, dando a Dio questo nome, vuole esprimere che Dio è la realtà migliore che un uomo possa desiderare: è fonte di felicità e ci rende felici.

Questo Dio prende parte a deboli, non agli oppressori, non può lasciare impuniti i malvagi. Così è la cultura popolare.

Quindi giudica “i vivi ed i morti”. Cioè chiediamo a Dio che la giustizia che non riusciamo a realizzare in questo mondo, la realizza lui, nell’altro mondo.

Ma questa richiesta del giudizio di Dio, non è forse un tranquillante falso?

Gesù non si riferisce mai al castigo, ma alla vita ed alla speranza. Il Dio che ci propone Gesù è quello che si umanizzò per umanizzare la nostra vita. E nella misura in cui ci facciamo umani, ci facciamo più simili a Gesù, che si compromise con la sofferenza umana fino ad identificarsi con la morte degli esseri umani, sapendo che essa non è la fine, ma il passaggio alla pienezza di vita. Torino san rocco 2022.7.a cura di Fredo Olivero.