VERSO IL DOMANI

Senza templi né sacramenti?
José María Castillo,teologo spagnolo molto apprezzato
A causa della pandemia virale, con il passare dei giorni negli ambienti clericali ed ecclesiastici le preoccupazioni aumentano a causa della crescente difficoltà delle persone ad andare in chiesa. E in chiesa i credenti possono pregare, ascoltare la messa, confessarsi e praticare la religione in questo periodo di tante carenze e problemi. I dubbi e le domande si moltiplicano: mi vale la messa vista in TV? Posso confessarmi al telefono? E così via.
Onestamente, non mi preoccupa (e non mi interessa molto) tutta questa “casistica sacramentale” che è nata a causa della solitudine e del confinamento che il coronavirus ci ha imposto. Quando tra i cristiani sono nati i sacramenti, gli attuali mezzi di comunicazione non esistevano. Inoltre, ci sono sacramenti che non so come possano essere celebrati a distanza.

 Ad esempio, l’Eucaristia, che in origine era una “cena condivisa”. Qualcuno cena per il fatto di vedere in TV che altri cenano?
Mi sembra che il “confinamento” che stiamo subendo a causa della pandemia virale, non cambierà molto l’attuale pratica sacramentale dei cristiani. Quando usciremo dalla situazione attuale, speriamo che tutto continuerà così com’era.
In ogni caso, la cosa più importante che in questo momento mi viene in mente di dire, è che per tutti noi tornerebbe utile ricordare (o informarci) che proprio nei primi secoli, quando le pratiche sacramentali non erano organizzate e regolate come lo sono ora e non si sapeva nemmeno quanti fossero i sacramenti, proprio allora il cristianesimo è fiorito con più vigore e forza. Questa questione – così decisiva – è ben documentata e analizzata.
Proprio quando l’Impero romano ha incominciato ad indebolirsi nella cosiddetta “epoca d’angoscia” da Marco Aurelio a Costantino (161-306) (E. R. Dodds, Pagani e cristiani in un’epoca d’angoscia, La Nuova Italia, Firenze 1993), proprio allora il cristianesimo si è radicato nella parte più viva della popolazione.
Non a causa della moltiplicazione e della precisione delle sue cerimonie. Erano tempi in cui i cristiani non avevano templi. E per loro era impensabile anche il semplice fatto di mostrare la croce. Perché in quella cultura dire che si credeva in ​​un “Dio crocifisso” era una contraddizione così assurda, come se oggi dicessimo di riporre la nostra fede in un “dio impiccato”.
Allora, cos’è stato che ha tanto colpito le persone al punto che in così poco tempo la Chiesa ha attratto così tanti seguaci? Un gruppo di seguaci, che vivevano un così forte senso di comunità, che univa individui e famiglie, più che per mezzo di alcuni determinati riti religiosi, soprattutto tramite un modo di vivere comune, come giustamente ha scritto Origene (Contra Celsum,1,1), questo è stato decisivo, persino determinante.
Per questo la Chiesa offriva tutto il necessario per costituire una sorta di previdenza sociale: si curava delle vedove e degli orfani, assisteva gli anziani, i disabili e coloro che non avevano mezzi di sussistenza; aveva un fondo per i funerali dei poveri e provvedeva al servizio d’infermeria per i periodi di epidemia (cf. Aristide, Apol. 15, 7-9; A. von Harnack, Mission, I, 137ss).
a ancor più importante di questi vantaggi materiali era il “senso di appartenenza”, che accoglieva principalmente coloro che vivevano come sradicati nelle grandi città. Come ha scritto bene Dodds, “un isolamento del genere dev’essere stato sentito da milioni di persone, dai membri inurbati delle tribù, dai contadini venuti in città in cerca di lavoro, dai soldati smobilitati, dai reddituari rovinati dall’inflazione, dagli schiavi liberati. Per chi si trovasse in una situazione del genere, l’appartenenza a una comunità cristiana era l’unica maniera possibile di conservare il rispetto di sé e di dare alla propria vita una parvenza di significato. Dentro alla comunità c’era calore umano: qualcuno si interessava a loro” (op. cit., 135-136).
Finisco e questa è la mia conclusione: non so se i templi resteranno vuoti; e neanche so se ci saranno persone che rassicureranno la propria coscienza guardando una messa in TV o che penseranno che Dio le perdona perché parlano con un prete tramite il cellulare. Onestamente, tutto ciò non mi preoccupa molto. Ciò che mi interessa davvero e che mi preoccupa è che troppi responsabili e dirigenti dell’attuale Chiesa possono dare l’impressione che sia più importante osservare e sottomettersi alla Religione (con le sue regole e i suoi rituali) piuttosto che essere fedeli al progetto di vita che il Vangelo ci propone.

Articolo pubblicato il 23.04.2020 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com)

Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI