Matteo 10,26-31

LA RADICE DELLA FIDUCIA

26 Non li temete dunque, poiché non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. 27 Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti.28 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna. 29 Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia.
30 Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; 31 non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!

Il contesto storico

Se in questi pochi versetti troviamo ben tre volte il “non abbiate paura”, le Scritture dei due Testamenti registrano questa esortazione alcune centinaia di volte.

Dalla chiamata di Abramo, di Mosè, dei profeti fino al cammino delle tribù verso la terra della promessa, tanto per il popolo quanto per i singoli, la Bibbia ritorna continuamente su questo punto.

Il messaggio è più che esplicito: non si cresce nella vita e nella fedeltà a Dio, non ci si decide per un progetto, se non si impara a riconoscere le proprie paure, a guardarle in faccia e a fare i conti con esse.

La Bibbia è anche e soprattutto la testimonianza di donne e di uomini che hanno trovato nella fiducia in Dio la forza per affrontare e andare oltre le loro paure.

Gesù e i discepoli

Ma questo brano ha anche alle spalle una esperienza che i fratelli e le sorelle avevano sentito raccontare dai primi discepoli: una memoria che non potevano archiviare e di cui Matteo rende chiara testimonianza: anche Gesù più di una volta aveva avuto paura.

Lo avevano visto pregare, esitare, cercare soccorso e sostegno nel gruppo, tanto più nei giorni della passione. La sua radicale fiducia in Dio, che Gesù viveva in prima persona e testimoniava ai discepoli, era stata la chiave di volta per proseguire il cammino, sempre più controcorrente, fino a Gerusalemme.

Matteo in questo “non temete” mette insieme la testimonianza delle Scritture e di Gesù e la affida alla sua comunità di “quattro gatti”: “bisogna imparare a fidarsi di Dio, a scoprire la Sua presenza e il Suo amore anche nelle ore più buie perché, aldilà delle apparenze, il cammino prosegue, si affrontano difficoltà, l’amore è più forte dell’odio e la pace vincerà persino la guerra”.

Una indicazione precisa

Qui Matteo aggiunge un’annotazione coinvolgente  al versetto 28b: “ Temete piuttosto coloro che possono spegnere la vostra vita e buttarla nel non senso”.

Ecco il nemico più sottile: lo spegnersi della fiducia in Dio, il disamore per la vita, il vuoto che invade il nostro quotidiano, l’egoismo che spegne l’amore.

Gesù indica il vero pericolo: bisogna stare attenti che la luce non finisca sotto il moggio, che l’abitudine non spenga la passione, che l’ingiustizia e la violenza non ci impediscano di vedere il piccolo bene che cresce ogni giorno in tutte le arterie del creato. La tragedia nella vita di un discepolo /a è la sua chiusura nell’indifferenza.

Solo insieme

Non a caso il verbo è al plurale: la fiducia in Dio, nelle persone e nel cammino della vita si coltiva solo insieme tra fratelli e sorelle. Nella vita quotidiana scopriamo che è necessario tenere insieme “Io e Noi”.

Quale dono di Dio è per noi sentirci parte di una comunità che condivide, sostiene, accompagna il nostro cammino! Il fiore della fiducia, la voglia del cammino e la forza per assumere le nostre responsabilità …..tutto questo è radicato in un percorso comunitario. Lì insieme si condividono le gioie, le speranze, le delusioni , i sentieri della vita. Lì si coltiva la radice che è la fiducia in Dio.

Una chiesa più coraggiosa?

La vogliamo davvero? Allora, anziché aspettarsi tutto o troppo dal parroco e dal papa, debbo compiere una rivoluzione mentale ed esistenziale: io in prima persona devo fare la mia parte, essere attivo, creativo, propositivo, critico, libero e continuativo nella comunità di cui faccio parte. Per dirlo apertamente: è facile onorare don Mazzolari e don Milani e poi starsene obbedienti alle norme canoniche di oggi.
E’ facile battere le mani al loro coraggio e alla loro audacia. Ma è un’operazione indegna, se poi nella nostra chiesa ci collochiamo in uno stile di vita comodo ed attendista. Ognuno di noi si interroghi sul come vive nella chiesa e nella società.