Giovanni 6, 51-58

E’conosciuta come la festa popolare del “CORPUS DOMINI” in cui la gente esprimeva la sua fede portando l’Eucarestia in processione come fosse la presenza fisica di Gesù.

Quando Gesù di Nazareth dice le parole riportate qui da Giovanni, i discepoli sono talmente sconvolti e disorientati che la maggior parte se ne vanno e non tornano più con lui. Se però Gesù trattiene quelli che lo hanno accettato, è perché sono fondamentali per il suo progetto ,la sua proposta di fede.

Solo Giovanni – che non riporta la narrazione della cena e la sostituisce con la lavanda dei piedi – ha però una riflessione profonda, un insegnamento alla comunità sull’Eucarestia, sul suo significato profondo.

Il capitolo 6 infatti è un insegnamento alla comunità sull’Eucarestia.

Versetti 51-52 “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà  per sempre”. “Il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo”.

Io sono indica la sua condizione divina.

Carne indica l’uomo/la donna nella sua debolezza umana. Quindi Gesù di Nazareth vuole dirci che la vita di Dio non si dà fuori della realtà umana concreta: il dono di Dio passa attraverso l’aspetto debole della sua vita, la carne.

Direi che qui Giovanni fa un confronto tra gli uomini di religione che si innalzano per incontrare Dio – reso inavvicinabile, che la religione ha reso irraggiungibile, che ha bisogno della loro mediazione (per questo si innalzano per incontrarlo e farlo incontrare, la separazione è la loro forza) – e il Dio di Gesù di Nazareth, che scende verso l’uomo, lo incontra e gli comunica la sua vita.

“I Giudei” (indica qui le autorità) si misero a discutere aspramente tra loro “come può costui darci la sua carne da mangiare?”

Chi è questo Dio che, anziché pretendere come Yahvè doni dagli uomini, si dona agli uomini, fino a confondersi con loro?

Qui Giovanni  si rifà all’immagine dell’agnello pasquale: Mosè aveva ordinato di mangiarne la carne prima di mettersi in viaggio, per avere la forza di camminare, e di segnare con il sangue le porte, perché li avrebbe salvati dall’angelo della morte.

Gesù, con la sua carne ed il suo sangue, si presenta come alimento per il viaggio della vita, è un’adesione concreta, usa il termine “masticare” (trogon) “Chi mastica la mia carne ha “la vita eterna”.

Vita eterna non è in futuro, ma al presente, c’è già, è una vita di qualità che diventa indistruttibile. “E io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (ultimo giorno è quello della morte di Gesù, in cui comunica il suo Spirito, la sua forza, il suo amore infinito che rende indistruttibile la vita di chi lo accoglie).

Gesù conferma ancora: la sua “carne è vero cibo e il suo sangue vera bevanda”, non ci sono regole esterne da osservare, ma una vita da assimilare attraverso gli elementi che entrano nell’uomo.

Gesù, quindi, presenta un Dio che potenzia, rafforza le persone e produce piena assimilazione reciproca “Come il Padre che ha la vita ha mandato me, e io vivo per il Padre, così colui che mastica me vivrà per me”.

Il compito di Gesù è manifestare un amore senza limiti, che – assunto dagli uomini – dilata la loro capacità di amore.

Il Dio di Gesù di Nazareth non vuole toglierci nulla, neanche un po di felicità.

E conclude “Chi mastica questo pane vivrà per sempre” (non vuol dire andrà in paradiso!), ma chi orienta la propria vita a favore degli altri (chiunque, non solo i cristiani) ha già una vita che la morte non potrà interrompere.