VANGELO DI GIOVANNI capitoli 18-20:

UNA RIFLESSIONE CON I TESTI DELLA  SETTIMANA SANTA

 

CAPITOLO 18

“Se non fosse malfattore, non te lo avremmo consegnato

 

Una operazione di polizia gigantesca si scatena per catturare Gesù di Nazareth e indica quanto fosse ritenuto pericoloso per l’istituzione religiosa.

Per il Sinedrio (Senato) è un bestemmiatore, merita la morte, vengono inviate anche le guardie del servizio d’ordine del tempio, circa 200. Poi le istituzioni civili-militari mandano un “distaccamento” (coorte) di saldati formato da circa 600 uomini. Quasi un migliaio di persone per catturarne una!

Eppure Gesù era vissuto senza violenza, facendo del bene a coloro che incontrava (Atti 10,38). Ma sembra proprio questo il suo crimine: fare del bene al popolo, restituire vita agli oppressi togliendoli da loro controllo, liberare il popolo, aprirgli gli occhi (Gv. 9) rendendolo autonomo, capace di camminare (Gv. 5) da solo.

Ma non sono i poliziotti a catturarlo, è lui che si dà scambiando l’arresto con la libertà dei discepoli “Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano” (Gv. 18,8). Tra i discepoli Simone non accetta lo scambio e, con la spada, taglia il lobo dell’orecchio destro al rappresentante del sommo sacerdote (G. 18,10). La precisione con cui colpisce il rappresentate di Caifa è precisata perché il “lobo dell’orecchio destro” era parte essenziale nella consacrazione: il sangue dell’ariete era posto sul lobo destro  dell’orecchio (senza questo, niente consacrazione: doveva essere perfetto).

Pietro vuole colpire il sommo sacerdote, purificare le istituzioni di Israele ormai corrotte. Ma Gesù è venuto ad abolirle, vuole una nuova relazione con Dio, tra figli ed il loro padre, che ha bisogno di figli che gli assomiglino, per questo dà la vita, affronta la morte. Non vuole essere difeso, è lui che difende la loro libertà.

Il mandante Anania (ex sommo sacerdote) lo interroga sui discepoli e sulla dottrina e nota che il pericolo sono ancora i discepoli che possono continuare.

Svela che il mandato di arresto era per tutto il gruppo.

Gesù ha un atteggiamento senza paura reverenziale, non risponde alle sue domande e lo invita ad ascoltare la sua dottrina. Riceve uno schiaffo dal servo.

Anania lo spedisce da Caifa che, dopo inutili tentativi, lo manda a Pilato  governatore romano(che aveva contribuito con i soldati alla sua cattura). Voleva incontrare questo galileo che si proclamava re dei Giudei. Lo riceve mandato come un malfattore (Gv. 18,30) e gli chiede “Sei tu il re dei Giudei?”. Non ne è convinto, ma Gesù glielo conferma.

Poi passa ad altro tema, quello della verità. Gesù “Sono nato e venuto per rendere testimonianza alla verità” (Gv. 18,37).

Essere dalla verità è la condizione a cui chiama ogni uomo, essere verità, non possedere la verità! Chi crede di possederla la trasforma in dottrina immutabile, chiusa, non più aperta allo spirito. Gesù invita al dinamismo, alla  vita: a vivere nella verità, a comunicare quello che si vive liberamente e con coerenza, facendola diventare gesti concreti, aperti.

A Pilato non interessa questo tema, estraneo ai suoi obiettivi. Solo la regalità interessava al potere imperiale. Il potere è falso e omicida. La verità, invece, comunica vita, respiro, dignità, libertà.

 

CAPITOLO 19

 L’asso nella manica  dei capi religiosi: si è fatto figlio di Dio!

Pilato è convinto che Gesù, consegnato come malfattore, è strano, ma innocente “Non trovo in lui alcuna colpa” e propone di graziarlo, come è consuetudine a Pasqua (Gv. 18,38-39).

I capi se lo aspettavano ed avevano preparato le loro carte: farlo condannare per motivi religiosi, perché “sovverte le pratiche religiose giudaiche”.  Alla sua proposta di liberarlo richiedono la liberazione del bandito sovversivo Barabba e non Gesù, che aveva detto di loro “siete ladri e banditi” (Gv. 10,1-8).

Per placare la loro stizza, Pilato decide di farlo flagellare, scorticare vivo dai flagelli, una tortura sotto cui spesso si moriva. I militari si lasciano prendere la mano, scaricando le loro frustrazioni, poi gli calcano sulla testa una corona di spine (Gv. 19,2).

Gesù è una maschera di sangue, Pilato lo presenta “Ecco l’uomo”, umiliato, calpestato, deriso. Dice “in lui non trovo alcuna colpa”. Vedendolo i capi dei sacerdoti urlano “Crocifiggi!” (Gv. 19,6). Ora sono i suoi a volerlo morto.

Tirano fuori la seconda carta: ha bestemmiato, si è fatto figlio di Dio (Gv. 19,7). Questo inquieta anche Pilato, lui ha sacrificato tutto alla carriera, ora gli dicono “Se lo liberi non sei amico di Cesare”, non avrai il riconoscimento di Roma dove vuoi tornare.

La posizione di Pilato si fa critica, non può rischiare di far condannare il figlio di Dio ed avere la vendetta di Dio. “Di dove sei?” (Gv. 19,9) Gesù tace! Il suo silenzio lo fa infuriare e gli dice “Lo sai che ho il potere di crocifiggerti?” Che cosa può sacrificare Pilato: la carriera, il successo, la morte di un innocente?

Non abbiamo altro re al di fuori di Cesare” gli dicono i capi religiosi. Preferiscono essere dominati dagli odiati invasori romani piuttosto che perdere la posizione di dominio sul popolo.

Gesù, portando la croce da solo, si avvia al luogo dell’esecuzione. Viene inchiodato e innalzato, agonizza e grida “Ho sete!”. Gli offrono “un vaso pieno di aceto”, immagine dell’odio.

“E chinato il capo, consegnò lo spirito” (Gv. 19,30)

Giuseppe e Nicodemo vanno a chiedere il corpo per la sepoltura. Toccando il corpo non celebreranno la Pasqua dei Giudei (perché impuri). Si occupano del suo corpo.

Maria non c’è al momento della deposizione(anche se tutte le statue e immagini la fanno presente). Lei ha colto forse il senso vero della sua morte e dai piedi della croce, dove ha sfidato i Giudei, se ne va, non lo piange morto, ma forse, come credente, continua a seguire “il vivente”.

 Non guarda al sepolcro, ma alla vita ed alla risurrezione.

 

CAPITOLO 20

Inutile sepolcro.

 

Giovanni evidenzia il diverso atteggiamento di Maria, madre di Gesù, e Maria di Magdala, discepola. Presso la croce ci sono entrambe, ma Maria – la madre – alla deposizione ed alla sepoltura scompare, non accoglie il cadavere del figlio e neanche va al sepolcro.

Maria di Magdala si reca al sepolcro e attende in casa che sia passato il sabato. “Vede la pietra tolta dal sepolcro” (Gv. 20,1), si rende conto che il corpo di Gesù non c’è ed urla “Hanno portato via il Signore e non sappiamo dove l’hanno posto” (Gv. 20,2) e piange rivolta alla tomba.

I “messaggeri” (angeli) intervengono “Donna perché piangi? Lui è vivo, non devi cercarlo tra i morti!” Vista l’inutilità delle loro parole, Gesù stesso si fa presente “Chi cerchi?” (Gv. 20,15)

E lei continua a cercare Gesù morto “Dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Allora Gesù la chiama per nome “Maria” e voltatasi verso Gesù gli dice “Rabbuni” (maestro) (Gv. 20,16). Gesù incarica Maria di andare dai discepoli “Va dai miei fratelli e dì loro: io salgo al Padre mio e Padre vostro” (Gv. 20,18).

Maria, donna, considerata lontana da Dio, ha la funzione di messaggero ufficiale, va dai discepoli “Ho visto il Signore” (Gv. 20,18). La prima testimone è una donna, che come tale non può essere testimone e, quindi, i discepoli non credono a quelle parole, su di loro non hanno alcun effetto. Non avevano creduto alle sue parole “Chi crede in me non morrà mai!” Infatti continuano a stare a porte chiuse “per paura dei Giudei” (Gv. 20,19).

Gesù prende l’iniziativa “Venne Gesù stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi!” (Gv. 20,19) E mostrò loro le mani e il costato (Gv. 20,20). Finalmente “I discepoli gioirono al vedere il Signore”. Si rendono conto della verità che aveva detto loro. Li incarica di continuare la sua missione “Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi” (Gv. 20,21) e per renderli capaci dà loro la sua capacità di amare “Soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo!” (Gv. 20,22).

Li associa alla sua missione e dà “alla comunità” a tutti la responsabilità di liberare gli uomini dal peccato: quando condonate i peccati questi saranno condonati.

Dovrebbero continuare questa missione “Non sono venuto per giudicare ma per salvare” (Gv. 3,17), offrendo una valida proposta di vita.

Compito della comunità: essere la luce che splende nelle tenebre.

Tommaso. Lui se n’era andato fuori, non aveva paura, infatti aveva detto di essere “disposto a morire per lui” e per questa sua sintonia lo chiamavano “il gemello”.

Lui, la seconda volta quando lo incontra, lo riconosce “Mio Signore e mio Dio!” (Gv. 20,28). Tommaso grida il suo disperato bisogno di vederlo. Non dubita, ma quando l’ha visto (senza toccarlo) crede. Ed anticipa la situazione dei credenti di tutti i tempi “senza aver visto, credono” (Gv. 20,29) e Gesù li chiama beati!

 

Fredo Olivero san Rocco Torino 2016/3