Giovanni 10,11-18

SONO IL PASTORE BUONO, VERO, CHE DA’ LA VITA PER IL GREGGE

L’immagine di Gesù Pastore è la più conosciuta dai cristiani, ma è un’immagine carica di tanti significati anche provocatori per i capi religiosi che si infuriano. Perché?

Giovanni dice di Gesù “Io sono il pastore buono”. “Io sono” è la frase che definisce la qualità divina, cioè sono come Dio. “Pastore buono” definisce la sua bontà, la sua vera qualità. Nel testo del profeta Ezechiele 34 si legge i pastori del popolo fanno i loro interessi ed allora lui stessi si prenderà cura del suo gregge. Quindi dice:  è arrivato il tempo, Gesù li spodesta, li chiama ladri e omicidi, e si prende cura direttamente a nome di Dio. La sua persona diventa il pastore per eccellenza che “dà la vita per le pecore”, per questo è buono.

E paragona il loro lavoro (dei capi religiosi) a quello dei mercenari, che agiscono per proprio tornaconto. Lui no. Ha un’intima comunicazione con il suo gregge, è la stessa che il Padre ha con lui.

Lui la trasforma e la comunica perché Dio vuole fondersi con l’uomo, facendo di lui il vero santuario, dando libertà.

E non dice “farò un solo recinto e un solo pastore”, ma farò un solo gregge di tutti, anche di quelli fuori dal recinto istituzionale. E’ venuto a liberare tutti, quelli dentro il recinto religioso e quelli fuori.

La religione dava sicurezza, li faceva sentire popolo di Dio, ma li faceva restare immaturi, in condizione infantile. Stavano sottomessi a regole umana di interesse contrabbandate per divine

Gesù propone una fede adulta, per coloro che sono nell’istituzione e per chi non lo è. Si diventa liberi, segno di una presenza spirituale profonda. Dio non si lega alla religione, ma alla persona ed alla sua dignità.