COMUNIONE DEI BENI A GERUSALEMME E AD ANTIOCHIA: DUE MODELLI DI CHIESA DIVERSI.

Per una lettura attualizzata degli Atti degli Apostoli (4, 32-56; 11, 26-36) e delle scelte della chiesa.

 

Luca nel vangelo fa dire a Gesù che dialoga con il notabile molto ricco: “Vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli: vieni e seguimi” (Luca 18,22)

Negli Atti cap. 4,32… riporta una constatazione sulla comunità di Gerusalemme “Nessuno infatti tra loro era bisognoso perché quanti possedevano campi o case le vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto, lo deponevano ai piedi degli apostoli, poi veniva distribuito ai singoli secondo i bisogni di ciascuno”.

Quest’ultima, finora, era stata l’unica comunità esaminata e proposta come utopia positiva, evangelica e i religiosi si sono sempre ispirati a questa per le loro regole.

In realtà, mentre Gesù chiede al ricco di sbarazzarsi di tutti i suoi beni e di darli ai poveri, i primi giudeo-cristiani di Gerusalemme vendono i loro beni, li capitalizzano, accumulandoli all’interno della comunità.

Questo modello non si ispira alle parole di Gesù, ma, probabilmente, a quello delle comunità monastiche essene (di Qumran ed altre) che mettevano il patrimonio a disposizione della comunità perché in mezzo a loro non ci fosse  miseria, ma un unico patrimonio con  tanti fratelli (Giuseppe Flavio, storico romano).

 

Gli Atti formano la seconda parte del vangelo  di Luca: luci ed ombre nella pratica del Vangelo e come venne inteso e frainteso dalle comunità(da Gerusalemme ad Antiochia).

Nel N.T. compare la preoccupazione per l’aspetto sociale dei beni, della povertà e dell’uso del denaro (mammona) che per Gesù è sempre disonesto, cioè accumulato in maniera disonesta, quindi l’unico riscatto è usarlo per fare del bene, per condividerlo con chi è nel bisogno e tirarlo fuori dal bisogno con la sua collaborazione. Questa almeno è l’impressione che da.

Gesù pone ai discepoli una scelta “Non potete servire Dio e ‘mammona’” (Luca 16,13), servizio a Dio ed accumulo della ricchezza sono incompatibili, perché porta a tradire il messaggio.

Già Maria nel Magnificat parla del Signore che “ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Luca 1,53).

In Giovanni Battista è sempre presente la giustizia sociale.

Quando Gesù compare, le prime parole sono per annunciare la fine della povertà :“Mi ha mandato ad annunciare la buona notizia ai poveri” (Luca 4,18).

I primi discepoli chiamati da Gesù “tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Luca 5,11) e Gesù li dichiara “beati” (felici) perché questo consente a loro di sperimentare l’attenzione di Dio fidandosi di lui.

E poi fa esempi in cui i ricchi, anziché possedere i beni, sono posseduti dalla preoccupazione del possesso e terminano infelici la loro vita: “Stupido, questa notte ti sarà richiesta la tua vita e quello che hai accumulato di chi sarà?” ,dice al ricco proprietario terriero(Luca 12,20)

Altri esempi sono altrettanto chiari ed anche provocatori, come il ricco epulone ed il povero Lazzaro, dove il ricco tenta di mascherare la sua povertà interiore: pensa di essere ricco e non sa di essere un infelice umanamente povero anche se dispone di molti beni.

Per Gesù la qualità sociale che dà valore all’individuo è il suo essere generoso e per questo invita a darsi e dare generosamente per essere simili al Padre e sperimentare la sua presenza (Luca 6,31ss;  12,22ss).

Nell’unica preghiera che Gesù insegna ai discepoli c’è l’invito a cancellare i debiti dei debitori (Luca 11,4) e ripete “Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo” (Luca 15,32).

La comunità è composta di persone che devono avere risolto il problema del rapporto con la ricchezza “E’ più facile che un cammello entri nella cruna di un ago, che un ricco entri del Regno di Dio” (Luca 18,25)

“Signore” è colui che, come Gesù, da ricco si è fatto povero.

Signore” diventa colui che dà, non chi trattiene per sé .Per questi signori non c’è posto.

Molte comunità religiose(suore e frati,..), anche oggi, hanno preso questo modello di vita analizzando la prima comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme “Tutti ….. stavano insieme, tenevano ogni cosa in comune ….. Nessuno, infatti, era bisognoso …..” (Atti 2,44ss).

E secondo questo modello di chiesa, gli apostoli erano amministratori dei beni comunitari. Ma il termine “apostolo”  significa inviato, messaggero, quindi hanno una funzione diversa. Invece oggi  si trasformano in sedentari amministratori dei beni di una comunità che non ha i problemi normali di sopravvivenza.

Luca presenta la comunità di Gerusalemme non per esaltarla, ma come una critica severa del modello, che crea un’amministrazione centralizzata e porta l’esempio di Anania e Safira come le persone che tentano, con la furbizia, di sfuggire al controllo degli amministratori(apostoli).

La realtà, quindi, era diversa dall’ideale vantato: “un cuore solo, un’anima sola ….” .C’erano nella comunità gravi ingiustizie che fecero sorgere “malcontento fra ellenisti (non ebrei) ed ebrei” in quanto le vedove dei primi erano trascurate (Atti 6,1).

Nacquero altre comunità, soprattutto con Paolo, per esempio ad  Antiochia. E mentre quella di Gerusalemme “godeva del favore di tutto il popolo” (Atti 2,47), ma forse non aveva un comportamento coerente, Antiochia era diversa, era soprattutto una comunità di annuncio, formata da cittadini di Cipro e Cirene, che annunciavano  ai greci la buona notizia di Gesù (Atti 11,20).

Questa comunità di Antiochia ha colto la radicalità del messaggio e Luca commenta :”la mano del Signore era con loro”(atti 11,21) cioè erano accompagnati dall’amore di Dio che potenziava la loro attività.

E accade un fatto sorprendente: in gran numero di persone aderiscono e si convertono al Signore (Atti 11,21) e qui, per la prima volta, i discepoli sono chiamati cristiani.

 

Luca, quindi, confronta le due comunità: quella di Gerusalemme, legata alle istituzioni religiose giudaiche e quella di Antiochia in terra pagana, dove i credenti non sono considerati una setta giudaica, ma seguaci di Cristo che è qualcosa di nuovo.

E questa è una comunità attenta e sapendo che a Gerusalemme vi era una grave carestia, si preoccupa subito di soccorrere i fratelli abitanti in Giudea (Atti 11,29).

Mentre a Gerusalemme tutto è in comune, i singoli non possiedono nulla ma li possiede il referente della comunità che li mette a disposizione di tutti, ad Antiochia il modello di comunità è diverso.

I credenti possiedono il necessario e decidono  in piena libertà ,danno il loro aiuto ai fratelli Giudei, condividono i loro beni con chi è nel bisogno. I fratelli di Gerusalemme e di Antiochia credono nello stesso Signore ,ma le scelte sono diverse. Luca sembra sottolineare la maggior coerenza evangelica di Antiochia dove la responsabilità dei credenti è diretta e la realtà della condivisione è personale e coordinata

Forse una riflessione va fatta: la “dipendenza economica dei religiosi mantiene le persone in uno stato infantile e li rende poco responsabili nella gestione dei beni”. Le comunità religiose poi corrono un rischio oggi evidente: hanno il voto di povertà ma tutti insieme possiedono grandi beni che i responsabili investono. Con quali criteri? Chi decide quali criteri usa? non sono nate così anche banche  gestite da enti ecclesiastici non sempre trasparenti? Non sono una contraddizione con le scelte evangeliche di vivere la povertà diventata per loro un voto ,un impegno di vita collettivo?

Il dovere invece di gestire i propri beni fa maturare e rende adulti.

Dove c’è libertà vi è lo Spirito che porta le persone a liberarsi dall’egoismo ed aprirsi ai bisogni ed alle necessità degli altri.

 

Conclusione.

Le due comunità credono nello stesso Signore, ma solo quelli di Antiochia sono riconosciuti come “cristiani” e forse è perché si preoccupano degli altri direttamente ,senza delega,e sono aperti alla condivisione reale.

 

Riflessioni di Fredo  Olivero, comunità di san Rocco ,Torino 2014.11