Vincitori e vinti: dalla Bibbia l’invito a non scoraggiarsi     

di Alberto Maggi 

Come ricorda nella sua riflessione il biblista Alberto Maggi, “quando il male sembra avere la meglio in realtà mostra di essere già sconfitto. Proprio per questo Gesù ci invita ad avere occhi per vedere e orecchi per sentire, e così da interpretare con il suo Spirito gli eventi della storia, coscienti che ogni gigante ha i piedi d’argilla ed è destinato non solo a crollare rovinosamente, ma anche a sparire ‘senza lasciare traccia’…”

Nel momento più drammatico della sua vita, quando sta per essere catturato, deriso e umiliato, torturato e ammazzato come un maledetto da Dio (Gal 3,13), Gesù anima i suoi discepoli e dice loro: “Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). Quella di Gesù non è una promessa futura. Non assicura che vincerà, annunciando il trionfo della risurrezione, ma dichiara che ha già vinto.                                                         
Come può affermare questo?                                                                                                         

Nulla sembra consentire questa certezza, speranza o illusione, anzi.                                               

Gesù ha fallito la sua missione.             

Ha tutti contro.Non solo “neppure i suoi fratelli credevano in lui” (Gv 7,5) e “molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui” (Gv 6.66), ma anche le stesse autorità religiose, i capi del popolo hanno la certezza che Gesù sia un peccatore (Gv 8,24), un pazzo posseduto da un demonio (Gv 8,48; 10,19). Per questo hanno tentato di lapidarlo quale bestemmiatore (Gv 10,31-33) e lo ricercano per ucciderlo (Gv 7,1; 11,53).           

In questo suo drammatico fallimento Gesù trascinerà anche i suoi seguaci, al punto da avvertirli che “saranno scacciati dalle sinagoghe e che chiunque li ucciderà crederà di rendere culto a Dio” (Gv 16,2).Eppure, nonostante tutto questo, Gesù ha la certezza che quanti come lui si porranno a fianco della Vita, della Luce e della Verità (Gv 14,5) saranno sempre vincitori sulla menzogna, sulle tenebre e su ogni forma di morte. La Verità, la Luce e la Vita nei vangeli sono sempre in relazione all’amore incondizionato del Creatore per le sue creature. Per il Signore non c’è alcun valore che si può sovrapporre al bene dell’uomo, alla sua libertà e felicità.                                                 

 La convinzione di Gesù di avere già vinto gli viene dall’aver accolto in pienezza il progetto del Creatore e dal suo impegno, fino al dono della propria vita, di collaborare all’azione creatrice del Padre di rendere ogni uomo suo figlio (Ef 1,5). È da questo che scaturisce la sicurezza dimostrata da Gesù, nonostante la cappa mortale che sta per avvolgerlo e inghiottirlo, di essere vincitore. Secondo la Scrittura, quando la terra era ancora “informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso” (Gen 1,2), il Creatore era già all’opera e il suo spirito vibrava sulle acque generando vita che cominciava a emergere e dalla sua visione di quello che dal caos iniziale affiorava, viene resa con l’espressione “Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,4.10.12.18.21.25:31), dove l’ebraico tov indica  non solo quel che è buono, ma anche ciò che è bello. In realtà non c’era nulla di buono e tantomeno di bello, ma quel che si stava materializzando nella natura come effetto della Parola creatrice era un magma spaventoso e certamente non attraente. Lo sguardo del Creatore, tuttavia, non si fissava su quel che era, ma su ciò che quell’insieme indistinto di elementi sarebbe diventato. 
Dio è l’artista che nella massa informe vede già il suo capolavoro. Per realizzarlo ci vuole tempo e pazienza, forse troppa per la mentalità umana che invece desidera tutto e subito. La fretta non sembra però far parte dell’agire divino, che rispetta i tempi e le modalità della natura e dei cicli vitali. La Scrittura paragona l’azione creatrice alle doglie del parto, dove gemiti e sofferenze preludono a una grande gioia (Gv 16,21; Rm 8,22). Come un essere umano non nasce già adulto, completo, ma come neonato fragile e indifeso, bisognoso di cure e attenzioni, per il quale il mancato rispetto delle necessarie fasi di crescita sarebbe catastrofico, così è il dinamismo del progresso della storia dell’umanità. C’è uno sviluppo, una lenta ma nello stesso tempo “ardente aspettativa” (Rm 8,19) per la trasformazione di tutto quel che è disumano in umano, che richiede i suoi tempi e che ha bisogno dell’attiva collaborazione degli individui per arrivare alla sua piena completezza.  E la sua realizzazione è più che certa. Gesù è infatti venuto a dare compimento all’azione creatrice del Padre, per il quale “nessun progetto è impossibile” (Gb 42,1), e assicura che “non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto” (Mt 5,18).
Il capolavoro del Creatore, al quale tutta la sua azione protende, è l’uomo fatto a sua immagine (Gen 1,17). Paolo scrive che addirittura “prima della creazione del mondo” Dio aveva scelto gli uomini per essere suoi “figli adottivi mediante Gesù Cristo” (Ef 1,4-5). Il Signore ha cura di questo suo progetto e non permetterà che gli eventi della vita possano rovinarlo o distruggerlo. Il Dio cui “nulla è impossibile” (Lc 1,37), con la sua azione e l’attiva collaborazione delle sue creature fa sì che ogni evento della vita, per quanto difficile o doloroso, non deturpi la sua opera ma diventi opportunità di crescita e occasione di ricchezza. Gesù assicura che situazioni della vita che possono sembrare pietre che la schiacciano, in realtà sono pane che l’alimentano (“Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra?” Mt 7,9).Paolo, sulla base della sua esperienza che lo ha portato ad affermare che quando è debole è allora che è più forte (2 Cor 12,10), non parla di speranza ma di certezza, non solo sua, ma di quanti come lui hanno sperimentato l’amore del Cristo. 
Arriva addirittura ad affermare che “noi sappiamo che tutto concorre al bene per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8,29). L’Apostolo non solo farà sua la certezza di Gesù di aver già vinto, ma, elencando tutti i possibili pericoli, le sciagure e le calamità che possono piombare su un uomo (dalla tribolazione all’angoscia, dalla persecuzione alla fame, dalla nudità alla spada), concluderà esclamando trionfante che “in tutte queste cose noi siamo più che vincitori” (Rm 8,37). Il credente non è un perdente e non solo vince, ma stravince.

San Rocco Torino 2022.9 red. Olivero Fredo