Commento su Luca 22,14-23,56 (forma breve: Luca 23,1-49)

Ho pensato molto, prima di iniziare a scrivere, questa riflessione per la Domenica delle Palme e “de Passione Domini”, di quest’anno, su quale poteva essere la chiave di lettura da proporre e da meditare in una domenica cosi significativa che apre la Settimana Santa.

Poi come mi succede sempre, dopo tanti pensieri sulla Liturgia che la Chiesa ci propone. In questa domenica, un pensiero è emerso e ha dominato successivamente su tutti gli altri: i due brani dei Vangeli proclamati questa domenica più che mai mi chiedono: da che parte sto?

E da che parte vogliamo essere?

Questo tipo di interpretazione che vi propongo richiede una lettura ed una riflessione in parte trasversale dei brani proclamati.Se consideriamo i brani del Vangelo di Luca che la liturgia propone in questa Domenica, per la precisione i versetti del capitolo 19, 28-40 e poi il racconto della Passione che è tratto nella forma più estesa da 22,14 fino a 23,56, ed adottiamo questa domanda come spunto di riflessione potremo avere delle sorprese; infatti è chiaro che istintivamente ognuno di noi pensa “Io sono credente e quindi sono dalla parte del Signore…”
Consideriamo intanto il Vangelo dell’entrata in Gerusalemme.
Gesù è, chiaramente, conscio del destino a cui va incontro.Così perfettamente consapevole che è in grado di prevedere e comunicare ai discepoli ogni particolare di ciò che avverrà .Dice testualmente il brano del Vangelo:

In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: “Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui”.

E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”.                   Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto

Eppure, pur sapendo esattamente come si sarebbe compiuto in Lui e mediante Lui il progetto di Dio di redenzione degli uomini annota l’evangelista “camminava avanti” salendo verso Gerusalemme.

Non si sottrae ad un destino doloroso. Anzi vi si appresta con grande dignità e statura morale., essenzialmente importanti per noi e per i destini dell’umanità (o così ci sembra).

Gesù, dicevamo, entra in Gerusalemme.

Mentre la moltitudine dei discepoli stende i mantelli sulla strada al passaggio di Gesù, manifestazione, forse, anche eccessiva di entusiasmo, e lo acclamano riconoscendolo Re per tutti i prodigi veduti “Benedetto colui che viene, il Re, nel nome del Signore”. Non così i farisei, il chiamarlo ” Maestro”, contrapposto a chi lo proclama re è volutamente riduttivo… E’ da notare che Gesù nell’entrare non vuole dare di sé una immagine di forza e potenza, cavalcherà infatti un asinello.

Che Re è il re che arriva su un asinello?

Un Re portatore di una logica che non è la logica dei potenti di questa terra: l’asinello è un animale umile e spesso bistrattato; Gesù è re di un mondo che non risponde a nessuna logica umana. L’incontro d’Israele col suo re è ambiguo. Chi stanno acclamando le folle? Un re che viene in visita: un uomo che già prima, loro volevano riconoscere come re e che per questo è fuggito (si veda a tale proposito anche il vangelo di Giovanni 6, 15).

Il Signore è Re, ci dice il Vangelo di Luca, ma è un re particolare.                                                               Re di un Regno che già è iniziato tra noi e di cui siamo già sudditi in quanto crediamo in Lui.Già quest’affermazione, per la nostra realtà moderna, non è scontata per niente.. la figura di un re ci appartiene poco… poi un re di un regno invisibile! E’ una idea piuttosto desueta: non siamo abituati nella nostra società all’idea di un re. Se lo posso (possiamo) vedere è con uno sguardo particolare: quello della fede.

Israele aspettava un re terreno che venisse a compiere le promesse dei profeti: l’atteso discendente di Davide che doveva liberare il popolo dall’oppressione mortale in cui si trovava (cfr Salmo 118, 26), Ed invece si presenta Gesù che dice il Vangelo, è un re particolare: cavalca un asino, cioè un animale mite e umile, un animale di servizio, il simbolo di un messianismo di colui che è umile e mite di cuore. Forse un po’ diverso dalle attese di Israele… E’ il messia immaginato in Zaccaria 9, 9 “Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio di asina” .E’ un Dio che non usa la violenza, che serve, che ama propone un mondo di uomini liberi al servizio gli uni degli altri.La sua gloria sarà la croce con scritto sopra “il re dei Giudei”.La sua regalità è nell’essere l’agnello immolato.Tutto questo mi sembra interessante e degno di riflessione approfondita: in fondo non sono sicura (e domando anche a voi di pensarci) di essere veramente entrata in pieno nella logica di un re che entra cavalcando un asinello e che muore su una croce dopo essere stato insultato e torturato..Però se ci penso veramente questo comporta delle scelte di vita talmente forti da lasciare sbigottiti e (forse) anche un po’ spaventati per la coerenza di scelte radicali che comporta una sequela reale. Quanto al racconto della Passione, proposto in questa domenica, sarebbe chiaramente troppo lungo applicare a tutto il racconto la logica che vi ho proposto del “da che parte voglio stare?”. Sceglierò allora solo alcuni temi… poi chiaramente se questo tipo di riflessione interessa, chiunque di voi può scegliere dal Vangelo proposto gli spunti che sembrano più significativi.

2. Istituzione dell’Eucarestia

Quando fu l’ora, Gesù prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. E preso un calice, rese grazie e disse: “Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finche non venga il regno di Dio”.Fate questo in memoria di me Poi preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice dicendo:”Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”.

Questo calice è “la Nuova Alleanza nel mio sangue” dice il Signore, ma perché si parla di “nuova alleanza”? La prima alleanza è l’alleanza fra Dio ed Israele; l’idea di “nuova alleanza” nasce con Geremia (31, 31-33) e si realizza con l’effusione del Sangue di Gesù. La coppa della benedizione, la coppa della nuova alleanza, è il nuovo patto che nasce col Sangue di Gesù Cristo che, essendo Figlio di Dio, aveva la possibilità di redimere il mondo in un altro modo. Egli sceglie di essere l’Agnello Immolato e immacolato, per la redenzione di coloro che in Lui credono, sperano e che con Lui camminano verso il Regno; non solo ma anche per tutti, anche quelli che non lo vogliono. Su questo è chiaro il seguente passo della Lettera agli Ebrei: “non con sangue di capri e vitelli, ma col proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca che si sparge su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli con la carne, quanto più il Sangue di Cristo, che con uno spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente?” (Ebrei 9, 12-14). Cambia il concetto di Pasqua: il sacrificio non è più quello degli agnelli, (non più il rito in cui Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare.) Con Gesù nasce un sacrifico nuovo: quello del Figlio di Dio il quale è nato, ha vissuto, è morto, è risuscitato per il nostro riscatto.
Nel suo donarsi, Gesù ci lascia l’eucarestia; “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga.” L’eucarestia dovrebbe essere dinamica di comunione, di cambiamento, di evoluzione. Gesù stesso dice: “Chi mangia il mio pane e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.” (Giovanni 6, 54-56)” Il Signore è presente ogni giorno sugli altari di tutto il mondo e di ogni tempo.. e noi dove siamo? Abbiamo tempo e voglia di partecipare all’incontro con Lui? O abbiamo sempre di meglio da fare?

“Io sto in mezzo a voi come colui che serve”

Sorse anche una discussione, chi di loro poteva essere considerato il più grande. Egli disse: “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è il più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele. Gesù spiega ai discepoli (e a noi) il significato del suo gesto: Gesù è in mezzo a noi come colui che serve, se noi vogliamo essere con lui (“avere parte con lui” dice il Vangelo di Giovanni) dobbiamo capire che dobbiamo “essere santi come lui è santo”. Inutile la discussione su “chi è il più grande”. Il cristianesimo va riportato alla luce essenziale: esso è comunicazione ininterrotta di amore che ha la sua sorgente in Dio e il suo termine nell’ultimo degli ultimi nostri fratelli. In San Paolo troviamo le seguenti parole:

Voi infatti fratelli siete stati chiamati alla libertà, purché questa libertà non diventi un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. (Gal. 5,13). Troppo evidente allora che il “io sto in mezzo a voi come colui che serve” ci obbliga ad un amore reciproco senza il quale non possiamo dirci seguaci di Gesù Cristo.
Ed io? E voi? Che valenza ha il mio servizio?

L’ora del turbamento

Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: “Pregate, per non entrare in tentazione”. Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra.

Nel Vangelo di Giovanni troviamo scritto:

Ora l’anima mia è turbata, e che devo dire? Padre salvami da questa ora? Ma per questo sono giunto a questa ora! Padre, glorifica il tuo nome” (Gv 12, 27-28)L’ora è quella della morte del Signore.Se lo amiamo la sua ora è anche l’ora nostra, non possiamo assistere senza sofferenza al Suo patire.

“Prende la morte su di se, ma per chi? Non per sè che è l’innocenza e non ha bisogno di espiazione, ma per tutti noi ” continua Balducci “la sua ora è come il centro dell’universo, il punto fermo che sta in mezzo a tutto ciò che si muove. La fede ci deve trasferire in quella ora per trarre ispirazione per tutta la vita”Come è bello pensare che l’anima del Signore è turbata!

Nel turbamento c’è la vicinanza del Signore alla nostra condizione umana, con questo turbamento egli assume su se stesso quello che a noi esseri umani fa paura: morte, violenza, infamia, abbandono, ingiustizia.

Ma per questo sono giunto a questa ora Il Signore accetta l’ora, in quanto accetta pienamente la fiducia nel Padre ed addirittura si rimette alla volontà del Padre (In Marco lo stesso concetto è espresso da “Non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi” Mc 14, 36).Io assisto alla venuta dell’ora del Signore…e da che parte sto?Sono di quelli che lo tradiscono?

Non bisogna essere per forza Giuda per tradire… si può essere anche simili a Pietro. Anzi per un cristiano è forse essere più facilmente simile a Pietro.. Non un tradimento plateale, ma un tradimento dovuto alla vigliaccheria, alla piccola debolezza, all’incapacità della testimonianza (che tema attuale!!).

Il tradimento

Ricordate? E Pietro gli disse: “Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte”. Gli rispose:”Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi”.Deve compiersi in me questa parola della Scrittura e poi più in la leggiamo:

Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: “Anche questi era con lui”. Ma egli negò dicendo: “Donna, non lo conosco!”. Poco dopo un altro lo vide e disse: “Anche tu sei di loro!”. Ma Pietro rispose: “No, non lo sono!”. Passata circa un’ora, un altro insisteva: “In verità anche questo era con lui; è anche lui un Galileo”. Ma Pietro disse: “O uomo, non so quello che dici”. E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte”. E uscito, pianse amaramente.

Già i Padri della Chiesa hanno la dualità fra le due figure di discepolo: Giuda e Simon Pietro.

In Giuda è rappresentato l’apice del mistero del male, la tragedia dell’uomo e di Dio che lo ama, ma che comunque all’uomo lascia la libertà del suo agire.Il tradimento di Giuda fa pensare all’impotenza di Dio davanti alla libertà dell’uomo, suggerisce l’irreparabilità del male.”

Tutti siamo peccatori, san Paolo scrive…tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Gesù Cristo. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia…(Rom 3-23, 25).

Il peccato di Giuda è eclatante, egli è strumento del progetto di Dio, ed è mezzo per cui si arriva alla Crocifissione del Signore.

Il fatto che poi il tradimento venga da uno interno al gruppo di discepoli dovrebbe farci riflettere sul fatto che non basta essere alla sequela del Signore per essere salvi, ma che la salvezza è nelle mani di Dio che ci ama per quello che siamo, anche per i nostri tradimenti, anche per i nostri peccati e per le nostre debolezze.

Non solo, ma il male, nelle mani del Signore, può diventare il massimo bene.

Il tradimento di Giuda e l’uccisione del Cristo diventano salvezza e redenzione di tutti gli uomini.

In Genesi 50, 20 troviamo la seguente affermazione di Giuseppe che ben si adatta al Signore: “Se voi avete pensato male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire ad un bene, per compiere quello che oggi si avvera: fare vivere un popolo numeroso”.

Giuda il traditore è anche lui strumento della nostra redenzione.

Diversa ma non del tutto è la figura di Simon Pietro… Simon Pietro abbiamo già visto in altre occasioni è il discepolo apparentemente fedele, ma che vuol dettare lui al Signore le regole del gioco (basta pensare alla lavanda dei piedi narrata nel Vangelo di Giovanni episodio in cui in modo impetuoso Pietro diceva al Signore che non spettava a lui lavare i piedi..). Questo è anche un peccato grave. Egli non fa come Giuda, che rifiuta il Signore, ma piuttosto come Adamo che ne vuole prendere il posto. Non è meno peccatore di Giuda in quanto la sua idea di Dio lo porterà a circoscrivere tutte le volte che può il suo Dio, un Dio creato a sua immagine e somiglianza e non un Dio superiore di cui non si può comprendere a pieno l’essenza. Per questo arriverà a rinnegarlo tre volte (la reiterazione del rinnegamento dà a questo un peso considerevole, tre volte è una presa di posizione esplicita!).

Noi, spesso, siamo infedeli ed in diversi modi tradiamo il Signore, ma lui non ci tradisce, anzi ci ha scelti e ci sceglie nonostante i nostri limiti: ora (dopo l’effusione del sangue ) noi “ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore Nostro Gesù Cristo, dal quale abbiamo ottenuto la riconciliazione” (Romani 5, 12)

Fredo Olivero, Palme 2022 San Rocco