Alberto Maggi analizza i temi scottanti che si stanno discutendo all’interno del Sinodo e suggerisce un ritorno alle fondamenta della religione cattolica perché “l’iniziativa è ottima, sempre che le gerarchie ecclesiastiche riconoscano con tutta umiltà e sincerità di non essere competenti in materia…”

Nel Sinodo in corso la Chiesa di papa Francesco vuole trattare importanti temi riguardanti la famiglia. L’iniziativa è ottima, sempre che le gerarchie ecclesiastiche riconoscano con tutta umiltà e sincerità di non essere competenti in materia. Una Chiesa dove ci sono voluti due millenni per ammettere che nel matrimonio oltre la procreazione dei figli è importante anche il mutuo amore dei coniugi (Gaudium et Spes 50), dovrebbe con tutta umiltà tacere su temi verso i quali non ha ricevuto alcun mandato dal Cristo e che, quando li ha voluti trattare, ha causato tremendi danni. Seguendo le indicazioni di papa Francesco, di vedere la Chiesa come un ospedale da campo, si spera che i Padri sinodali seguano il cuore e il buon senso, canali preferiti dallo Spirito santo, e adoperino l’unico linguaggio universalmente riconosciuto, quello dell’amore misericordioso.

Per questo i Padri dovrebbero tornare alle sorgenti cristalline della Scrittura, troppo spesso ignorata o strumentalizzata per essere di supporto a strampalate dottrine tanto assurde quanto disumane (come quella di imporre ai divorziati risposati di vivere come fratello e sorella). La conversione della Chiesa al Vangelo di Gesù farebbe emergere che il problema, così aspramente dibattuto, della comunione da concedere ai divorziati risposati, semplicemente non esiste. La difficoltà non riguarda infatti il secondo matrimonio, ma il significato stesso dell’eucaristia. Nei vangeli appare chiaramente che l’eucaristia non è un premio concesso a quanti lo meritano, ma un dono per i bisogni delle persone: meriti non tutti li possono avere, ma tutti sono bisognosi. Gesù ha cercato di far comprendere ai duri teologi del suo tempo che la medicina e il medico sono per i malati e non per i sani, e che non occorre purificarsi per accogliere il Signore, ma è accoglierlo nella propria vita quel che purifica.

Altro tema scottante, finora sempre evitato, è quello delle unioni omosessuali. Su questo argomento era più logico e comprensibile l’atteggiamento della Chiesa pre-conciliare: gli omosessuali erano tutti peccatori e quando morivano finivano all’inferno per omnia sæcula sæculorum. Le cose si sono complicate con la morale post-conciliare: no, non sono peccatori per il fatto di essere omosessuali, ma per il manifestarlo (come dire a una pianta che può crescere, ma non può fiorire). La soluzione? Anche in questo caso la castità (gira e rigira si finisce sempre lì, sui genitali). La castità, scelta che la Chiesa riconosce essere un carisma, ovvero un dono del Signore per quanti liberamente e volontariamente la scelgono, diventa un obbligo imposto. Il rifiuto dell’omosessualità si basa sul fatto che nella Bibbia si legge che Dio maschio e femmina li creò (Gen 1,27). Nessuno mette in dubbio quest’ asserzione: gli omosessuali non sono un altro sesso, bensì maschi e femmine che orientano la propria affettività su persone dello stesso sesso. I mali della società non sono causati da chi si ama, ma da chi si detesta.