IL NOME PROPRIO DI DIO: DIO E’ PADRE,

MA NON E’ NE’ MASCHIO NE’  FEMMINA …. E NON CASTIGA NESSUNO

SCHEMA DELLA LETTERA

  1. Padre
  2. Complicata relazione con il Padre
  3. Assenza della madre
  4. Contro la paura di Dio che paralizza
  5. Che accoglie il “perduto”
  6. Dio non castiga nessuno
  7. Tentativo di spiegazione
  8. Che dire dell’inferno?
  9. Incolpare l’uomo?
  10. Dio è sempre buono
  11. Conclusioni
  1. IL PADRE

Gli studiosi si rifanno al biblista tedesco Jeremias J. “Abbà”, 1966, dicendo che quello di Abbà, Padre ,è il nome che Gesù usa rivolgendosi a Dio, con un’unica eccezione. Gesù parlava con Dio come un bambino con suo padre, pieno di fiducia e sicurezza, secondo Jeremias.

Anche per tutti i cristiani Dio è Padre e la comunità cristiana usava “Abbà, Padre” per rivolgersi a Dio fin dalle origini. La parola Padre è uguale a Dio (in greco ò Theòs).

Ma nel Nuovo Testamento non c’è nessuna dottrina sulla Trinità (come viene definita nel 4° secolo dal 2° Concilio di Costantinopoli, anno 38d.c)anche se nessuno oggi la mette direttamente in discussione.

Quando parliamo perciò di Padre, parliamo di Dio utilizzando i testi del N.T.

Ma parliamo di questo Dio, che si confonde con l’umano e che continua ad essere “Padre” e insieme  Dio trascendente.

  1. RELAZIONE COMPLICATA DELLE PERSONE  CON IL PADRE

A prima vista dire che Dio è “padre” ed ancor più “Dio è il Padre” ci dà un’impressione gratificante: dovrebbe dare a tutti speranza e felicità.

Però, nei fatti, non è così: molti hanno dubbi, difficoltà ed alcuni arrivano a rifiutare Dio, ma non  perché non accettano che Dio sia padre. Però pensiamo a ciò che significa “padre” per un figlio: protezione di fronte ad ogni minaccia. Ma nell’esperienza pratica non è così: orfani e “bambini di strada”,i figli di coppie divise e sempre in tensione, quale esperienza hanno? Negativa del padre.

Padre, poi, è sicurezza per il figlio, “spiegazione” di tutto quello che lui non si  sa spiegare. Però il problema più importante si pone sull’autorità, sul potere del Padre che comanda, proibisce, minaccia e castiga. Ed è ciò che un figlio più detesta e la relazione con il padre è più complicata di quanto ci si immagini.

  1. ASSENZA DELLA MADRE

Dio non è né maschio né femmina, né uomo né donna, non si può capire partendo da categorie sessuali.

Ma le grandi religioni “del libro” (giudaismo, cristianesimo ed islam) continuano ad essere religioni maschiliste. Dio, quindi, con queste culture, non lo si può rappresentare  che come maschio, con potere, autorità, dominio.

Ma noi umani abbiamo padre e madre: perché, allora, ci rappresentiamo Dio solo come padre?

La questione centrale, però, è sapere se rappresentare “Dio come il Padre” può rendere felici i credenti di quella religione. Perché ogni essere umano porta in sé il mascolino ed il femminino dall’origine della vita, nelle prime esperienze nell’utero materno.

Poi noi interpretiamo il sesso forte (come maschile) ed il sesso debole (come femminile). Ma in realtà non è proprio così : sono invece complementari. Quindi non possiamo reprimere parte di noi stessi: reprimere l’affettività, la tenerezza e la delicatezza per esaltare potere, forza, dominio.

 E con questa “cultura” maschilista nella fede, prende il sopravvento la violenza che ognuno si porta dentro.

E questo ha segnato anche la religione che nasce da una cultura maschilista, una religione in cui Dio deve essere maschile, forte, mai femminile, tenero, affettuoso.

E’ vero che Gesù invocò sempre Dio come padre, mai come madre. Ma Gesù è un giudeo, educato in quella cultura, come faceva a presentare un Dio diverso da quello onnipotente?

Eppure la carenza del femminile deve essere in qualche modo sostituita.

E, forse, è qui che entra nella devozione Maria, la Vergine che per molti rappresenta ciò che non si trova in Dio Padre.

 Maria, quindi, diventa la “Madre” di Cristo e nostra, sostituendo l’elemento femminile che manca e parcheggiando l’argomento di Dio-Padre.

E Maria rischia di far sparire il suo ruolo più importante: madre di Gesù di Nazaret e prima credente.

  1. CONTRO LA PAURA DI DIO CHE CI PARALIZZA.

Dobbiamo togliere le “false immagini di Dio” che molta gente ha nella sua coscienza: Dio giudice è una minaccia da cui proteggerci.

Quando capita una disgrazia (malattia, incidente, …..) diciamo: è un “castigo” di Dio per i nostri peccati.

Con questo Dio che castiga, minaccia, dobbiamo farla finita perché non è evangelica.

Forse ci può aiutare la parabola dei talenti (Matteo 25,14-30) interpretata correttamente.

Gesù fa a tutti noi un richiamo alla responsabilità: rispondere positivamente a quello che ci dà, al suo grande amore. Ma l’idea che Dio fosse “duro” spinge uno a nascondere il talento sotto terra per la paura di Dio che lo paralizza, rende sterile la persona.

Invece Gesù voleva proprio smontare questa immagine ufficiale di Dio, quella dei farisei, che mette paura. Lui è il Dio che accoglie il “perduto”, il padre del figlio prodigo (Luca 15,1-32) che scandalizza il fratello per bene.

  1. CHE ACCOGLIE IL PERDUTO

La parabola del “figlio prodigo” è la più utilizzata per parlare di Dio Padre.

Prima questione è il titolo che orienta la chiave di lettura: come si comporta Dio con chi si perde, con chi è traviato o vive come un disorientato?

 E Luca cap. 15 lo fa anche con altre due parabole: la pecora perduta e la moneta smarrita.

La parabola detta del “Figliol prodigo”racconta delle peripezie di un ragazzo  sfacciato, che chiede al padre l’intera quota di eredità che gli spetta; spende e spande, si degrada, si smarrisce nella miseria ed allora si ricorda di suo padre e torna a casa per riempirsi la pancia. Si prepara un discorso con l’idea di presentare le sue spiegazioni. Il padre, che lo ama, non lo lascia neanche parlare, lo abbraccia, lo bacia, è contento che sia di nuovo con lui. La seconda persona  che viene evidenziata è  il fratello, “il buono della famiglia”, ma con lo spirito e  la mentalità da fariseo, che disprezza il fratello perduto , non accetta questo atteggiamento del padre che accoglie ed ama il  fratello tornato.

Gesù viene a spiegarci come è Dio, che non vede i peccatori come persone cattive, che non provocano in lui risentimento.

E conclude: Dio non è come normalmente lo immaginiamo. E’ invece umano fino ad un punto “scandaloso”, profondamente umano. Non è il padrone che paga secondo i meriti, come dovrebbe essere la giustizia umana. Questo criterio non  basta; con Dio le relazioni non sono basate sull’interesse, sul merito, ma sull’amore e sull’affetto del padre che guarda ai nostri bisogni.

Continuiamo a dire “Dio premia ciascuno secondo i suoi meriti”, no! Dobbiamo liquidare questa figura di Dio. Dio non si relaziona con noi a partire dai meriti, ma a partire dalla sua generosità e dai nostri bisogni. Le pratiche religiose non sono un sistema di scambio, Dio proposto da Gesù non ha niente a che vedere con questi criteri.

  1. DIO NON CASTIGA NESSUNO

Se crediamo nel Dio che ci ha insegnato Gesù è un Dio che non castiga nessuno,e non può castigare  né in questa né nell’altra vita. Siamo d’accordo che qualsiasi padre terreno per educarli castighi anche i figli. Ma qui ci riferiamo a una condanna per sempre, che noi chiamiamo Inferno senza speranza di ricupero. Quando gli facciamo fare questo, ci riferiamo ad un Dio padrone, giudice secondo criteri di dominio assoluto ,che condanna per sempre e rifiuta chi lo ha rifiutato. Non possiamo difendere questa immagine di Dio.

Il Dio di Gesù di Nazaret  è compatibile solo con Dio che vuole per i suoi figli la felicità della vita.

Se, invece, Dio incombe su di noi come una minaccia di castigo non può essere fonte di felicità, ma è la cosa peggiore che possa toccare agli uomini e anche  per questo molti abbandonano la “fede”.

 

La domanda che, allora, gli uomini si sono posti nei secoli  è quella sull’origine del male, della sofferenza: perché soffriamo? E sempre gli uomini hanno trovato la risposta in Dio. In più i cristiani hanno aggiunto una relazione tra Dio e le presunte sofferenze interminabili dell’altra vita, quella eterna, nell’aldilà: l’inferno!

Ma questo Dio castigatore, torturatore  non  sta insieme con il Dio di Gesù Cristo.

Allora si incolpa l’uomo per discolpare Dio: la colpa non ce l’ha Dio, ma l’uomo che è cattivo e la sofferenza (v. libro di Giobbe) è letta dagli amici che vengono a far visita a Giobbe come castigo per il peccato suo o dei suoi antenati. Ci si arrangia dicendo “ci castiga permettendo mali e disgrazie”.

Ma se crediamo in un Dio Padre, che è amore e misericordia, non può essere possibile questo castigo e si deve dire che Dio non castiga nessuno in questo senso definitivo.

Questo Dio non vuole la sofferenza degli esseri umani e ma non è possibile spiegare perché Dio permette il male. E’ un problema senza soluzione razionale.

  1. TENTATIVO DI SPIEGARE

Dio ed il male sono due realtà che stanno oltre la nostra capacità di comprensione :

 non sappiamo armonizzare questa sofferenza e Dio.

Che cosa però “conosciamo” che ci aiuti a riflettere?

a)      La ragione da sola non basta per farci arrivare a Dio. Sono altre dinamiche che ci fanno arrivare a lui.

b)      “Dio nessuno l’ha mai visto”, oltrepassa la nostra capacità di comprensione, non sta alla nostra portata.

c)       Noi cristiani lo abbiamo conosciuto nell’uomo Gesù di Nazareth, possiamo sapere di Dio solo quello che lui ci ha insegnato. Chiaro è dal Vangelo che “passò beneficando e risanando”, non castigò nessuno. La sua ansia fu alleviare la sofferenza umana, liberare i prigionieri, dare la buona notizia ai poveri e da lui possiamo capire meglio come è il Dio in cui crediamo.

d)      Sicuro è che Dio non è causa di sofferenze, ma promette felicità e speranza a quanti soffrono. Gesù non ha  rivelato un  Dio soluzione e sollievo di tutti i mali, ma, tantomeno, che ha bisogno della sofferenza umana per essere appagato. E questo per i  dirigenti religiosi ebrei era insopportabile.

E non solo ieri anche oggi molti nelle chiese cristiane lo sostengono.

Certo è che Dio non è un tiranno che castiga, né uno che manda disgrazie.

e)      Con questo non escludiamo di ricorrere a Dio nella preghiera e di presentargli le nostre angosce:la preghiera ci aiuta a chiarire il nostro rapporto con Dio e con i fratelli.

  1. CHE DIRE DELL’INFERNO

     Dio non castiga nessuno né in questa vita né nell’altra. Dio, ci ha insegnato Gesù di Nazareth, è     infinitamente buono e misericordioso. Ed allora come la mettiamo con l’inferno?

Quel Dio che colleghiamo all’inferno non è il padre che educa il figlio che ama, ma un padrone che maltratta esseri indifesi, li condanna per sempre e li rifiuta senza speranza di soluzione.

Questo Dio farebbe piazza pulita di quel Dio Padre-Madre infinitamente buono e misericordioso.

Un Dio che castiga con sofferenze inimmaginabili è incompatibile con il Dio che vuole la felicità per i suoi figli. Un Dio, minaccia di castigo, non può essere fonte di felicità.

All’origine vi è il problema del male, il suo significato che non ha una risposta logica. Ma il rapporto più complicato ancora viene da alcune religioni, tra queste la cristiana, che ha creato relazioni tra Dio e sofferenza in questa vita, ha affermato poi una relazione stretta tra Dio e la sofferenza “nell’altra vita”, eterna!

Se Dio è effettivamente responsabile del male, questo Dio castigatore che permette le disgrazie in questa vita  per rimediare benefici nell’altra in cui castiga senza rimedio , è assurdo e  senza senso.

  1. INCOLPARE L’UOMO?

Visto che incolpare Dio è difficile da provare, si è provato ad incolpare l’uomo “peccatore e cattivo” con l’esempio di Adamo ed Eva, che vivevano in un mondo senza alcun male, ma furono espulsi dalla felicità a causa del “peccato originale” che commisero.

Così invece di incolpare Dio si passa ad incolpare l’uomo. Perché allora Dio ci ha fatti così, liberi di peccare? Perché permette il male?

  1. DIO E’ SEMPRE BUONO

Nel “discorso della montagna”  Gesù dice “Amate i vostri nemici e pregati per i vostri persecutori.….. Siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il sole sui malvagi e sui buoni..” (Matteo 5, 44 …..).

Ma poi continua “Siate perfetti come Dio è perfetto” e la sua perfezione è bontà senza limiti.

Dio vuole che agiamo con tale bontà,  che siamo anche buoni con i cattivi. Lui, per noi, ha un amore forte, sicuro: è buono sempre, sta sopra il bene ed il male, ci ama senza riserve, qualsiasi sia il nostro comportamento ,la nostra situazione di vita .

Qui sta il grande problema della convivenza umana: amare anche chi è contrario alle mie idee, perfino il nemico. Così riusciamo a “capire” la relazione aperta che il Padre ha con noi.

 

CONCLUSIONI

A Dio arriviamo con il linguaggio umano dicendo: “Padre”. Alla base vi è l’esperienza umana, ma il Nuovo Testamento, dando a Dio questo nome, vuole esprimere che Dio è la realtà migliore che un uomo possa desiderare: è fonte di felicità e ci rende felici.

Questo Dio prende parte coi  deboli, non con gli oppressori, ma non può lasciare impuniti i malvagi. Così è nella cultura popolare dei credenti.

Quindi giudica “i vivi ed i morti”. Cioè chiediamo a Dio che la giustizia che non riusciamo a realizzare in questo mondo, la realizza lui, nell’altro mondo.

Ma questa richiesta del giudizio di Dio, non è forse un falso tranquillante ?

Gesù non si riferisce mai al castigo, ma alla vita ed alla speranza. Il Dio che ci propone Gesù è quello che si umanizzò per umanizzare la nostra vita. E nella misura in cui ci facciamo umani, ci facciamo più simili a Gesù, che si compromise con la sofferenza umana fino ad identificarsi con la morte degli esseri umani, sapendo che essa non è la fine, ma il passaggio alla pienezza di vita.

A cura di Fredo Olivero

Torino, comunità di san Rocco, luglio 2014

NB .Il testo sintetico prende spunto e utilizza il libro-ricerca di Josè Maria Castillo:”DIO E LA NOSTRA FELICITA”ed, Cittadella ,2011.

L’autore è molto noto sia nelle università europee (Spagna e Italia) sia in centro America Latina(Salvador).Attualmente vive in Spagna e si dedica alle pubblicazioni di testi e conferenze.