“Il popolo è il mio profeta” (Oscar Arnulfo Romero)

 

“Ognuno ha le sue radici… io nacqui in una famiglia molto povera. Ho provato la fame, so cosa significa lavorare da bambini… Da quando entrai in seminario e iniziai gli studi – mi mandarono qui a Roma per terminarli – passai anni tra i libri e dimenticai le mie origini. Mi feci un altro mondo. Poi, tornato in Salvador, mi diedero la responsabilità di segretario del vescovo di San Miguel. Passai là ventitré anni sommerso tra le carte. E quando mi chiamarono a San Salvador come vescovo ausiliare caddi nelle mani dell’Opus Dei, e lì rimasi…”.

“Mi mandarono poi a Santiago de Maria e lì si che tornai a scontrarmi con la miseria. Con quei bambini che morivano per l’acqua che bevevano, con quei contadini maltrattati durante i raccolti… E sa, il carbone diventato brace si riprende al primo soffio. Non fu poco quello che successe appena diventato arcivescovo; il fatto del padre Grande. Lei sa che io lo apprezzavo molto. Quando vidi Rutilio morto, pensai: se l’hanno ucciso per quello che faceva mi tocca andare per la sua stessa strada… cambiai, ma fu anche un ritorno…”.

(testimonianza di Oscar Arnulfo Romero riportata da César Jerez e María López Vigil)

 

Oscar A. Romero, vescovo di San Salvador – scheda biografica

Nato da famiglia povera in un piccolo villaggio salvadoregno nel 1917, Oscar A.

Romero studia teologia a Roma e lì viene ordinato prete. Tornato in patria, inizia la sua attività pastorale prima come parroco e poi come segretario della conferenza episcopale, vescovo ausiliario, vescovo della cittadina di Santiago de Maria. Nel 1977   diventa  vescovo  di   San   Salvador,  la   capitale.  Ha   una   formazione tradizionale.  Tutti   pensano  che   sarà   un   vescovo  moderato  e   ossequiente all’autorità.

Basta rileggere la biografia di Romero per ricordare l’esasperata tensione del conflitto che  vissero  il  popolo  e  la  Chiesa  di  San  Salvador  col  potere  dello  Stato.  Di  fatto,  gli  anni dell’episcopato di Romero furono anni di guerra, non dichiarata ma reale. Persecuzioni, eliminazioni, sparizioni di massa, torture, esecuzioni extragiudiziali, massacri… furono “il nostro pane quotidiano” durante  il  suo  ministero  pastorale  arcidiocesano.  Il  Salvador  era  il  Paese  cosiddetto  delle “quattordici famiglie”: la disuguaglianza sociale era tanto forte che quattordici cognomi detenevano l’immensa parte della ricchezza del Paese più piccolo e più densamente popolato dell’America continentale. Trentamila furono i contadini massacrati nel 1932 perché reclamavano giustizia. Maggiore fu il numero dei morti nella guerra che stava per iniziare ai tempi di Romero e che egli non poté fermare. Se il conflitto era già grande di per sé, subì un aggravamento nel coinvolgimento degli Stati Uniti, con il loro decisivo aiuto tecnologico ed economico al governo e all’esercito salvadoregno nella loro repressione contro il popolo.

Ma non si trattava di un governo materialista, comunista, ateo… bensì, al contrario, di un governo diretto da alcune oligarchie “cattoliche”, per le quali molti sacerdoti e vescovi fungevano da cappellani. Questo Stato cattolico, governato da una ultradestra capitalista e conservatrice, si impegnò a fondo, con tutta la sua forza, in una guerra contro il suo popolo, per difendere la sua egemonia e il suo sistema economico di sfruttamento. Questa repressione non solo fu diretta contro il popolo organizzato, ma specificatamente contro la Chiesa liberatrice. “Sii patriota, uccidi un prete”, fu un motto che rese celebre la destra salvadoregna in quei tempi.” (José Maria Vigil).

Romero è una persona molto onesta e capace di ascoltare: di fronte alla situazione di estrema povertà e ingiustizia che si trova davanti, prende coraggiosamente posizione a favore dei poveri e contro la situazione di posizione di estrema ingiustizia in cui vivono, soprattutto a partire dall’assassinio di Padre Rutilio Grande, un sacerdote gesuita che stima molto. Romero inizia a denunciare sistematicamente l’ingiustizia sociale del paese e i soprusi e le violenze fatte dall’esercito. Nella predica della V domenica di Quaresima del 1980 scongiura i soldati dell’esercito di rifiutarsi di uccidere i contadini inermi. Il giorno seguente viene assassinato mentre celebra l’eucarestia.

“È inconcepibile che qualcuno si dica cristiano e non assuma, come Cristo, un’opzione preferenziale per i poveri. È uno scandalo che i cristiani di oggi critichino la Chiesa perché pensa “in favore” dei poveri. Questo non è cristianesimo! Molti, carissimi fratelli, credono che quando la Chiesa dice “in favore dei poveri”, stia diventando comunista, stia facendo politica, sia opportunista. Non è così, perché questa è stata la dottrina di sempre. La lettura di oggi non è stata scritta nel 1979. San Giacomo scrisse venti secoli fa. Quel che succede, invece, è che noi, cristiani di oggi, ci siamo dimenticati di quali siano le letture chiamate a sostenere e indirizzare la vita dei cristiani… A tutti diciamo: “Prendiamo sul serio la causa dei poveri, come se fosse la nostra stessa causa, o ancor più, come in effetti poi è, la causa stessa di Gesù Cristo”.

Mons. Oscar Romero, 9 settembre 1979

“…Vorrei fare un appello speciale agli uomini dell’esercito, in concreto alla base della Guardia Nazionale, della polizia, delle caserme. Fratelli, siete del nostro stesso popolo, perché uccidete i vostri fratelli campesinos? Davanti all’ordine di uccidere deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere. Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. Una legge immorale non ha l’obbligo di essere osservata. È tempo di recuperare la vostra coscienza e di obbedire prima alla vostra coscienza che all’ordine del peccato. La Chiesa, che difende i diritti di Dio, la Legge di Dio, la dignità umana, la persona, non può restare silenziosa davanti a tanta ignominia. Vogliamo che il Governo comprenda che non contano niente le riforme, se sono tinte di sangue. In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorno più clamorosi, vi supplico, vi scongiuro, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!”

Mons. Oscar Romero, Ultima omelia, 23 marzo 1980

Romero si è cristallizzato nella memoria popolare ed ecclesiale e persino nella pubblica opinione della società in generale come “il martire latinoamericano per antonomasia”, il più conosciuto e il più universalmente amato, persino dalle persone lontane dalla religione. Ci chiediamo: perché? Per pura simpatia? No, ma per i suoi meriti. Quali? Romero non abbracciò all’inizio la teologia e la spiritualità della liberazione; al contrario, fu un grande conservatore (per questo fu nominato arcivescovo) ma, alla fine della sua vita, “a sessant’anni, si convertì” si lasciò interpellare e cambiò. Assunse in modo molto personale questa teologia e questa spiritualità e le visse con totale coerenza e in maniera eroica. Di più: come arcivescovo, riuscì a istituzionalizzare l’opzione per i poveri nella sua Chiesa locale, in modo che la pratica pastorale della sua arcidiocesi fu di fatto un’incarnazione o applicazione concreta di questa teologia e spiritualità. La sua non fu un’esperienza personale meramente individuale, ma trascinò con se l’esperienza comunitaria di tutta una Chiesa locale.

La sua posizione liberatrice non fu semplicemente pratica, ma irruppe profondamente nel mondo teologico, dando mostra di una notevole lucidità. Le sue omelie e i suoi scritti occupano oggi otto volumi e sono tutto un riferimento teologico. Il suo discorso come dottore honoris causa all’Università di Lovanio è un testo antologico della teologia della liberazione. È per tutto ciò, e non per mera simpatia o per una aleatoria fama ingiustificata, che Romero è, come diciamo, un “simbolo massimo” dell’opzione per i poveri o, che è lo stesso della teologia e della spiritualità della liberazione. Ci sono molti altri martiri latinoamericani, ma nessuno riunisce in sè questa eminente realizzazione della scelta per i poveri, tanto nella propria persona come, attraverso di essa, in una Chiesa locale, con un supporto teologico tanto serio e con la firma e l’avallo del martirio.

La persecuzione contro la Chiesa di San Salvador potrebbe essere paragonata a quella perpetrata dall’impero romano contro i primi cristiani. Ancor meglio si potrebbe paragonare alla persecuzione sofferta dal primo testimone, Gesù: come si è detto e ripetuto, i martiri latinoamericani – Romero per primo – sono martiri “gesuatici”, non semplicemente “cristiani”. Come Gesù, che fu giustiziato dal potere, Romero esemplifica paradigmaticamente il conflitto tra la sequela di Gesù nell’opzione per i poveri e il potere stabilito in una società borghese.

José Maria Vigil

 

Per approfondire la figura di Romero consigliamo il sito: http://www.mgm.operemissionarie.it/romero/

 

San Romero d’America, Pastore e Martire nostro

1980, Pedro Casaldáliga

 

L’angelo del Signore annunciò il vespro… Il cuore del Salvador segnava

24 di marzo e di agonia. Tu offrivi il pane,

il corpo vivo

– il triturato corpo del tuo popolo;

il suo sangue sparso vittorioso –

il sangue contadino del tuo popolo massacrato

che deve tingere di vini d’allegria l’aurora impedita! L’angelo del Signore annunciò nel vespro,

e il Verbo si fece morte, un’altra volta, nella tua morte;

come si fa morte, ogni giorno, nella carne nuda del tuo popolo. E si fece vita nuova

Nella nostra vecchia chiesa! Stiamo un’altra volta

sul piede della testimonianza,

San Romero d’America Pastore e Martire nostro!

Romero della pace quasi impossibile su questa terra in guerra. Romero in fior violetto della speranza

Incolume di tutto il continente.

Romero della Pasqua Latinoamericana.

Povero Pastore glorioso, assassinato a pagamento, a dollaro, a valuta. Come Gesù, per ordine dell’impero.

Povero Pastore glorioso, abbandonato

dai tuoi stessi fratelli del pastorale e di messa…! (Le curie non potevano comprenderti:

nessuna sinagoga ben costituita può comprendere il Cristo). I tuoi poveri si ti accompagnavano,

in disperazione fedele

pastore e gregge, allo stesso tempo, della tua missione profetica. Il popolo ti fece santo.

La ora del tuo popolo ti consacrò nel Kairós. I poveri t’insegnarono a leggere il Vangelo. Come un fratello ferito da tanta morte sorella, tu sapesti piangere, solo, nell’orto.

Sapesti aver paura, come un uomo in combattimento

Però sapesti dare alla tua parola, libera, il suo suono di campana! E sapesti bere al doppio calice dell’altare e del popolo,

con una sola mano consacrata al servizio.

L’America Latina già ti ha posto nella sua gloria del Bernini nella spuma aureola dei suoi mari,

nel baldacchino arieggiato delle Ande vigili, nella canzone di tutte le sue strade,

nel calvario nuovo di tutte le sue prigioni, di tutte le sue trincee,

di tutti i suoi altari…

Nell’ara sicura del cuore insonne dei suoi figli! San Romero d’America Pastore e Martire nostro: nessuno farà tacere la tua ultima omelia!