IL “PECCATO” DI CUI SIAMO VITTIME.  TORNIAMO AL VANGELO

Peccato: parola che usiamo per “tutto quello che non va”.Diciamo per es. “peccato, stasera piove …”, “peccato” se si rompe qualcosa ….

Se uno legge con attenzione i vangeli vede che il ruolo del peccato è marginale perché Gesù è interessato alle sofferenze, ai bisogni degli uomini, non al peccato.

Nell’Antico Testamento, invece, si parla spesso di peccato dell’uomo.

Fermiamoci al vangelo di Giovanni, capitolo 9, episodio della guarigione di un uomo cieco dalla nascita in giorno di festa.

v. 1: Gesù “passando vide un uomo cieco dalla nascita”. E’ appena sfuggito ad un tentativo di lapidazione vicino al tempio (luogo pericoloso per lui: “…. Essi presero delle pietre per tirargliele, ma Gesù usci dal tempio”, fuori trova le persone che non possono entrarvi – il cieco è uno di questi).

Gli chiedono chi ha peccato: lui o i genitori? La malattia, l’handicap erano considerati conseguenze del peccato dell’interessato o dei suoi antenati.

E’ l’eterna questione del male, soprattutto del male innocente.

Le religioni antiche avevano inventato una soluzione: vi era un Dio buono autore del bene ed un Dio cattivo che provocava malattie e morte. La risposta era chiara: vi è un Dio buono che dà le cose buone, vi è un Dio cattivo che dà le cose malvagie.

Israele giunse a pensare un Dio Unico da cui proveniva il bene ed il male. “Bene e male, vita e morte, tutto proviene dal Signore (Siracide 11,14ss).

Giobbe replica alla moglie “Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male” (Giobbe 2,10) nell’epoca in cui tutto (bene-male) veniva attribuito a Dio.

Poi, per non incolpare Dio del male, si è finito per incolpare gli uomini. Anche l’idea del castigo cambia. E nei comandamenti Dio punisce “fino alla terza o quarta generazione”. Era una logica grezza, ma efficace. Però non poteva reggere: Dio punisce i bimbi per le colpe dei nonni?

 

Ezechiele, profeta, elabora una teologia diversa. “La persona che pecca è quella che morirà, il figlio non pagherà per l’iniquità del padre” (18,20).

 

Ma poi vi erano persone brave, innocenti, a cui capitavano malattie, disgrazie anche gravi.

Allora un autore (che sintetizza tempi lunghi di riflessione) esprime nel libro di Giobbe un pezzo quasi teatrale: un uomo buono a cui capitano disgrazie continue e, quindi, non è vero che sono conseguenza del peccato.

 

I sacerdoti  ci vivevano  di questo “peccato” ed elaboravano una prassi (ed una teoria) per cui se esiste il male del mondo bisognava che la gente che peccava facesse sacrifici per placare Dio.

E con questo sistema si mantenevano: i sacerdoti si scannavano tra loro per dividersi parti degli animali immolati.

Il traffico di animali sosteneva l’avidità dell’esercito di sacerdoti e servitori del tempio per spartirsi animali ed offerte. Quindi posero un tariffario per il perdono dei vari peccati, perciò più la gente peccava, più il flusso di offerte cresceva. Predicavano, si scatenavano contro il peccato, ma in cuor loro erano felici delle offerte al tempio.

Avevano reso la legge impraticabile e tutto era fatto nel loro interesse.

 

 Torniamo all’episodio del cieco. “Chi ha peccato lui o i genitori?” gli chiedono.

Gesù (v. 3) “Né lui ha peccato né i suoi genitori, così si manifesteranno in lui le opere di Dio”.

Proviamo a capire. Intanto malattia e colpa non sono legate. Poi Gesù intende dirci che la creazione non è finita, che lui lavora con il Padre e con noi per completarla. Come il Padre nella creazione ha impastato del fango per fare l’uomo, così ora lui completa la creazione guarendo.

E rende libero il cieco, che non è più un emarginato, maledetto (perché senza vista non può leggere la parola di Dio!), ma un uomo libero, ha acquistato dignità!

Gesù intende rendere le persone libere, capaci di ragionare, autonome.

Giovanni continua “Portano dai farisei quello che era stato cieco”. I farisei, guide spirituali del popolo, sono incapaci di accogliere questo fatto e reagiscono male dicendo “Non viene da Dio perché lo ha guarito di sabato” (ha trasgredito la legge più grande, quella che anche Dio rispetta: si è riposato al settimo giorno).

Nel giorno di sabato non si potevano compiere 39 lavori importanti e ben 1.521 azioni proibite.

Il Signore “ha aperto gli occhi al cieco” e questo allarma le autorità religione invece di renderle felici e per ben 7 volte ripetono “ha aperto gli occhi”, come un ritornello. E loro non sono convinti, anzi sono certi che  “Quest’uomo non è da Dio perché non osserva il sabato!” (v. 16). Il loro Dio non si interessa del bene delle persone, ma solo chi osserva la legge sta con lui.

Per i farisei essere da Dio è osservare le leggi religiose, anche se si fanno soffrire gli uomini.

Per Gesù essere da Dio è scegliere sempre il bene dell’uomo, è sicuro di fare con questo anche il bene di Dio.

Altri dicevano: come può un uomo peccatore guarire? Che cosa è dunque il peccato? E’ trasgressione ad una legge come il riposo del sabato?

Se questa trasgressione è male Gesù è peccatore. Ma se, invece, è peccato un male che si fa agli uomini (non a Dio!), il peccato è contro l’uomo.

Ma i farisei non possono ammettere e negano l’evidenza perché questo demolisce il loro castello di regole religiose. Non vogliono vedere la realtà perché manda in crisi tutto il sistema. Non vi è diritto di avere un’opinione propria. Perché giungono a dichiarare che il bene che fa Gesù è un male? Raggiungere l’autonomia di coscienza sui valori che hanno l’uomo al centro scardina il sistema per cui la decisione dell’autorità è più importante della risposta umana al problema.

Per Gesù il peccato è “andare contro il bene dell’uomo”. E allora si recupera tutta la vecchia teologia, sarebbe stato meglio rinunciare alla salute! invece di violare il riposo del sabato!

Il cieco dà una risposta devastante con i fatti “Se sia un peccatore non lo so. Io so una cosa: ero cieco e adesso ci vedo” (v. 25).

La chiesa impiega 2.000 anni per ammettere che la coscienza dell’uomo è più importante di qualsiasi dottrina, verità “rivelata”. La Chiesa ha recalcitrato sempre su questo tema ed ancora Gregorio XVI (1832) fa un’enciclica contro la libertà di coscienza definendola “diabolica, delirio, errore velenosissimo”.

Si giunge fino al Concilio Vaticano 2° per riconoscere la dignità umana dove la coscienza ha il primato.

Quindi con Gesù si passa dalla “religione del libro” (come si definiscono le tre grandi religioni) ad una fede nell’uomo. Con Gesù non c’è più (anche se molti fanno fatica ad ammetterlo) una religione del libro, una legge da osservare, ma c’è una fede nell’uomo. Per lui il bene dell’uomo (e della donna) è il valore assoluto, il più importante. Non si può fare soffrire l’uomo in nome di una verità, di una dottrina, di un dogma.

Il cieco, in questo brano, dice sostanzialmente: di teologia non me ne intendo, ma ora ci vedo e sto bene così. E si tratta di un cieco che ha recuperato la vista, ma soprattutto una persona che ha aperto gli occhi e acquisito dignità.

E quando qualcuno dice: voi siete in peccato! Chiedetegli: voi chi vi autorizza, chi vi ha mandato a comandare alla nostra vita?

Il ritratto che Giovanni fa dei capi religiosi è impietoso: è il cieco a denunciare la loro ottusità, è la gente comune che gli deve rinfrescare la teologia del vangelo.

Queste autorità religiose sono sicure, non hanno dubbi, lo cacciano fuori, non hanno nulla da imparare.

Essere cacciati dalla sinagoga, dal tempio non era essere messi fuori da un luogo di culto, ma significava la morte civile: ogni contatto proibito, anche andare al mercato, fare un’attività di rapporti con altri (vendere, comprare).

Le istituzioni dicono: certe situazioni sono peccato, e le persone dovrebbero, per non vivere nel “peccato” rinunciare alla loro vita, alla loro affettività.

Gesù li va a recuperare “fuori del tempio” e apre contro ogni sistema di emarginazione, oppressione. Ci invita a mettere in moto un processo a favore dell’uomo, dove solo lui sia al centro.

La denuncia dell’evangelista fa traballare le istituzioni che si impongono alla coscienza della persona. E Gesù continua “Se foste ciechi non avreste alcun peccato. Io sono venuto perché quelli che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi”.

Gli obblighi nei confronti di Dio sono importanti, ma non più dei doveri verso gli uomini.

Per Gesù, quindi, questi capi non sono guide, ma ciechi – per scelta – e cercano di accecare gli altri. Sono accecati da una ideologia che in nessun modo viene da Dio.

Il Dio di Gesù di Nazareth si è fatto uomo, è venuto ad alleviare le sofferenze umane.

E questo richiede a noi.

 

Torino 2014.2.  Olivero Fredo, chiesa di san Rocco .