INTRO

_ È un racconto mitologico. È un mito: non è mai accaduto, ma accade sempre. È profondamente vero senza essere reale, ovvero realmente accaduto.

_ L’adesione a Gesù è promessa di vita eterna, ossia vita qualitativamente così alta da superare anche la morte.

_ Marta, Maria e lo stesso Lazzaro sono un simbolo. Di cos? Della comunità nascente che, aderendo a Gesù sperimentano, posseggono già la vita eterna, ma non ne sono ancora pienamente consapevoli. Per questo sono angustiati dalla morte, bloccati nella mentalità solita-mondana rappresentata qui dai giudei. Ricordiamo che giudei in Giovanni non sono gli ebrei tout-court, bensì i ‘nemici’ della nuova comunità che segue Gesù. Sono quelli della mentalità vecchia per intenderci, quelli che non aderiscono a Gesù con la fede.

_ Ultimo dato. L’episodio di Lazzaro rappresenta la prima pala del dittico della sesta sezione di Gv. La seconda pala è la condanna a morte di Gesù (11, 47-53). Gesù datore di vita per l’uomo è cosa insopportabile per le autorità giudaiche. Gesù dà la vita – l’istituzione dà la morte. Gv qui è molto chiaro: è giunto il tempo che il popolo prenda una decisione riguardo all’uomo Gesù di Nazareth. Decida da che parte stare.  

Andiamo al testo…

Cosa vuole comunicarci Gv con questo episodio. Essenzialmente questo: a chi lo segue, a chi gli aderisce Gesù comunica una qualità di vita così ‘alta’ da superare anche la morte. Ora, Lazzaro l’ha seguito (è infatti detto ‘amico’ di Gesù, termine usato nelle comunità primitive per indicare il discepolo del Maestro) e quindi è già ora in possesso di questa vita. Lazzaro è già un vivente, ha già vinto la morte, è già oltre la morte. Il problema? Che la comunità – nella fattispecie Marta e Maria – non l’hanno ancora compreso.

Dunque, chiariamo subito una cosa: per Gv, Gesù non è venuto a impedire che l’essere umano non conoscesse la morte, ma a comunicare una vita che la superasse.

D’altra parte Gv 8, 51 lo chiarì nitidamente: ‘Se uno osserva la mia parola – dice Gesù- non vedrà la morte in eterno’, ossia non morirà. Lazzaro ha osservato la sua parola quando era su questa terra, e quindi non può vedere la morte in eterno.

All’inizio del brano, c’è una figura che spicca, ossia, centrale ed Maria. Marta risulta essere la sorella di Maria. Lazzaro viene presentato come infermo. Nella galleria giovannea vi sono parecchi infermi: il figlio del funzionario regio (4, 46), il paralitico (5, 3ss.), il cieco (9, 1). Ci ricorderemo che tutti questi sono presentati come anonimi, non hanno un nome. Di quest’infermo invece conosciamo il nome: Lazzaro. Il nome ebraico è El’azar, colui che è assistito da Dio.

Teniamo in mente un passaggio importante al cap. 10, 3: ‘Chi entra dalla porta [del recinto], è pastore delle pecore. Il guardiamo gli apre e le pecore ascoltano la sua voce; egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. Il racconto di Lazzaro altro non è che la realizzazione plastica di questo passaggio.

Betania qui non è tanto un luogo geografico, bensì un luogo simbolo. Rappresenta infatti la comunità, quella venutasi a creare attorno alla figura di Gesù.

v. 2b C’è ancora Maria al centro. Lazzaro viene definito infermo (malato), e viene chiamato fratello di Maria. Il termine fratello – come s’è detto sopra, era usato nelle comunità primitive per indicare ciascun membro maschile della comunità. Sorella quello femminile. Capiamo dunque che tra i tre fratelli, non intercorrono tanto rapporti di sangue, piuttosto quelli di appartenenza alla medesima comunità: Marta, Maria e Lazzaro sono fratelli e sorelle della medesima comunità.

v. 3 Interessante notare: Le sorelle. Non si dicono i nomi e neanche è usato il possessivo: le sue. E questo suffraga quanto appena detto.  Abbiamo una comunità che ha imparato – col tempo – a rivolgersi a Gesù col titolo di Signore. E, attenzione, non dicono ‘Lazzaro’ + malato, ma il tuo amico. Ciò che unisce Gesù con gli appartenenti alla sua comunità è un rapporto di affetto, d’amicizia.

v. 4 qui andiamo subito al centro del significato di questo brano: Chi aderisce a Gesù non conosce la morte, come detto sopra. Qui si parla di ‘gloria di Dio’. Ma cosa s’intende con ‘gloria di Dio? Occorre rifarsi all’episodio delle nozze di Cana, cap. 2, v 11: ‘Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui’.

Va da sé che il nostro racconto è un altro segno compiuto da Gesù, attraverso cui egli manifesta la sua gloria, che è poi la medesima Gloria del Padre, essendo loro – Gesù e il Padre – una cosa sola.

v. 5 Salta l’ordine dei fratelli enunciato all’inizio. Nella comunità non dev’esserci infatti mai preminenza di qualcuno su qualcun altro. Non esistono precedenze nella comunità voluta da Gesù. Gesù tra l’altro l’aveva affermano con forza: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10, 42ss.). L’uguaglianza tra i membri comunitari è fondamentale. Gesù vuole bene a ciascun membro della comunità, indipendentemente dal ruolo. Il v. usato – voler bene – significa amare, un’azione che dà vita all’altro, non è solo affetto.

v. 6 Gesù si trattiene. Non va subito dall’amico amato. La natura deve fare il suo corso. Dio, che lui incarna, non ha potere sulla natura. Questo dev’essere chiaro! Per cui, la vita è giusto che si porti a compimento attraverso la morte biologica. Gesù non è venuto a far sì che i suoi amici non muoiano, ma che i proprio amici vedessero e comprendessero la morte sotto un altro punto di vista. Se i suoi  fossero giunti a vedere la morte non come fine della vita, ma piuttosto come sua massima espressione, avrebbero cessato anche di averne terrore.

v. 7 Gesù non dice andiamo dall’amico Lazzaro, ma ‘andiamo in Giudea’. Ora Giudea nel vangelo di Gv è un termine tecnico. Sta a indicare un luogo nemico. Dal cap. 7 sappiamo che proprio in Giudea i giudei cercavano di ucciderlo. Ma ora, Gesù, vuole tornarci. L’amore rischia anche la vita per l’amato.

Al v. 8 i suoi vogliono risparmiargli questo pericolo. Per loro la vita è una sola e dev’essere salvaguardata a tutti i costi. Non si scherza! Parlano così perché non hanno ancora compreso che Gesù può disporre della sua vita: ‘Ho il potere di darla e il potere di riprendermela di nuovo’ dice in 10, 18. Ma per i suoi – e dunque per noi – esiste solo la vita biologica; per Gesù invece esiste una vita più grande, che è già all’opera ora, e che per la sua qualità immensa scavalcherà anche la morte. Capite, siamo continuamente immersi in un clima d’equivoci. Per i suoi c’è solo una vita, per Gesù come ne esistessero due: quella biologica che ha un inizio e una fine, e poi una super-vita, che Giovanni chiama Vita Eterna, che non ha mai avuto inizio e non può finire, entro la quale si muove, o meglio si manifesta, la vita biologica. Tutti gli astanti credono che Lazzaro essendo morto abbia finito per sempre, per Gesù invece, Lazzaro è comunque il vivente. Il fiume della vita è senza inizio e senza fine: Lazzaro è venuto a bagnarsi per un breve momento in questo fiume attraverso la sua vita biologica, ma ora che non ha più la vita biologica egli continua a scorrere come fiume della vita.

vv. 9-10. Le dodici ore del giorno rappresentazione la sua attività. Queste ore termineranno con l’ultimo segno, appunto la risurrezione di Lazzaro, infatti proprio in quel contesto i giudei decideranno di ucciderlo (11, 54). A quel punto terminerà la sua opera, col compimento della croce. Ma fino ad allora occorre operare le opere del Padre.

v.11 Gesù dice: Lazzaro si è addormentato. Continua la commedia degli equivoci. Per la comunità, i discepoli, Lazzaro è morto. Definitivamente morto (è già di quattro giorni). Per Gesù invece dorme. Vi ricordate la figlia di Giairo? Per tutti era morta, per Gesù dormiva: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». (Mc 5, 39). E qui c’è un dato molto interessante su cui vorrei soffermarmi. Nella comunità nascente, stando ai testi, pare – a differenza di Marta e Maria – che questa verità di vivere già ora una vita ‘eterna’, era affermata. Infatti se fate caso, nei testi del Nuovo Testamento non si parla mai di morte e di morti, ma di sonno e di addormentati.

Voi saprete senz’altro che si deve al cristianesimo l’uso della parola cimitero. Fino ad allora chi moriva andava nella necropoli, la città dei morti. I cristiani venivano portati in un luogo chiamato in greco κοιμητήριον [koimeterion] da cui il nostro cimitero. E κοιμητήριον [koimeterion] significa precisamente «dormitorio» (κοιμάω [koimao] = dormo), luogo dove si va a riposare per recuperare le forze e l’energia per rivivere il giorno seguente. Per i cristiani morire era un addormentarsi  per riacquistare le forze necessarie a vivere una vita nuova. Ora, se andiamo al NT e stiamo alla lingua originale, ci accorgiamo che non si parla mai di morte, ma sempre si una vita che si addormenta. Abbiamo già visto la figlia di Giairo: «dorme» (Mc 5,39 e Lc 8,52: καθεύδει1 [katheùdei]). Nelle Lettere paroline e petrine: «… a proposito di quelli che sono morti» (περὶ τῶν κοιμωμένων [perì ton koimomenon], il verbo da cui deriva la parola «cimitero»), 1Ts 4,13; «alcuni sono morti» (ἐκοιμήθησαν [ekoimè- thesan]), 1Cor 15,6; «Gesù primizia di coloro che sono morti» (τῶν κεκοιμημένων [ton kekoimemenon], 1Cor 15,20; «i nostri padri chiusero gli occhi» (ἐκοιμήθησαν [ekoimèthesan], 2Pt 3,4, e via dicendo. Ma la traduzione della CEI traduce sempre con morte laddove in greco c’è addormentato, o sonno. La domanda è perché? Al di là della risposta, è interessante notare che i primi cristiani avevano ben chiaro che la morte biologica non è la fine, è solo il tempo semmai di riacquistare le forze per qualcosa si nuovo.

Altra annotazione sempre al v. 11. Gesù chiama Lazzaro amico, col significato che abbiamo visto sopra. Un componente della comunità.

Al v. 12 continuano gli equivoci. I discepoli ora parlano sì di addormentarsi, ma in senso altro rispetto a quello usato da Gesù. Inoltre viene usato il termine ‘salvezza’: si salverà. Vedete, i suoi di Gesù sono proprio su un altro piano, un altro pianeta potremmo dire.

Per loro salvezza significa semplicemente evitare la morte fisica. Per Gesù invece salvezza significa ‘vivere una vita ora qualitativamente così alta da attraversare la morte biologica.

Per Gesù è chiara una cosa, lo leggiamo al cap. 3: ‘chi è nato dallo Spirito’ vince la morte, non evitando però la morte fisica: ‘Quello che è nato dalla carna è carne, quello che è nato dallo Spirito è Spirito’. (3, 6). Chi è nato dallo Spirito ha superato la condizione di carne.  

Poi Gesù esce da queste incomprensioni e dice espressamente: ‘Lazzaro è morto, e io mi rallegro per voi…’. Pare incredibile. Si parla di gioia in una situazione tragica: il paradosso morte-gioia annuncia la vittoria della vita.

Dopo questo segno (preludio a quello della risurrezione di Gesù) i suoi potranno finalmente capire, e gioire insieme a Gesù, ossia comprenderanno che chi appartiene allo Spirito – che è unito a Gesù -, chi vive la sua vita, ha vinto la morte. Che la morte non è l’ultima parola. Sperimenteranno insomma la salvezza. Per cui salvezza non è non morire, ma sperimentare, comprendere di vivere già ora una vita che non avrà fine.

E poi dice ‘su andiamo da lui’. Ne parla come fosse vivo! Bellissimo. Non va a consolare le sorelle (cosa che faranno i giudei – coloro che non hanno colto cosa sia la salvezza). Lui va ad incontrare l’amico!

v. 16 Tommaso dice: ‘andiamo a morire con lui’. Attenzione: con Gesù. Pietro più tardi vorrà morire per Gesù. Interessante! Il gemello di Gesù – questo il significato di didimo Tommaso – sta a significare una comunità che aderisce appieno a Gesù, ed è disposta ad andare sino all’estreme conseguenze dell’amore. Malgrado questo entusiasmo, Tommaso però non sa che Gesù non andrà semplicemente a morire, bensì a dare-consegnare la sua vita, per poi recuperarla appieno. Si ha veramente solo ciò che si dona.

v. 17. Gesù giunge al sepolcro, dove il suo amico sta ormai da quattro giorni. Altro termine tecnico: dopo il terzo giorno anche lo Spirito – secondo la narrazione semitica – se ne allontana. Lazzaro è definitivamente morto, non c’è più nulla da fare. Gesù ha tardato perché giungesse proprio questo momento: perché non ci fosse più niente da fare. E questo per non creare malintesi. Egli non è venuto a risuscitare i morti! Ma a dare vita ai vivi!

v. 19. I giudei s’è detto, rappresentano il gruppo ostile a Gesù. Ma al contempo frequentano la comunità cristiana nascente. Un dato storico interessante: all’inizio vi era ancora una sorta di commistione tra giudei e cristiani. Non era ancora così chiaro – siamo del 100 d.C – una separazione netta tra sinagoga e Chiesa.  Loro vanno a fare le condoglianze per la morte di Lazzaro. Gesù va per risvegliare l’amico. Si noti che non viene usato il possessivo: il loro fratello. Ma solo: per il fratello. Termine, lo ribadisco, per indicare l’appartenente alla comunità.

v. 20 veniva Gesù. Viene qui usato in greco l’imperfetto. Per cui si potrebbe tradurre: Gesù veniva e continua a venire. E non smette di venire. Gesù è il veniente. Gesù è sempre presente nella sua comunità.

Marta gli va incontro. Maria invece sta seduta: non s’è accorta, e per questo sta bloccata dentro il luogo di morte: e qui tutti le vanno a fare le condoglianze. Insomma, possiamo dire così: in una comunità, se c’è ancora l’idea che la morte biologica sia la fine della vita tout court, allora c’è solo la paralisi e  il lutto.

v. 21 Signore, titolo con cui la comunità nascente chiamava Gesù. Marta rimprovera Gesù. Non è la prima volta…! Ella fa una lettura ancora umana, mondana della morte del fratello. Per lei la morte biologia è l’ultima parola, quella definitiva. Pensa che Gesù avrebbe potuto far qualcosa qualora fosse giunto in tempo. Forse Marta aveva in mente – Giovanni di certo – la Scrittura quando Eliseo aveva pur risuscitato un morto (2Re 4, 8ss.). Perché Gesù non potrebbe ripetere il miracolo?

Non c’è niente da fare. Giovanni è bravissimo nel far notare quanta fatica nella comunità primitiva si facesse per cambiare mentalità riguardo la morte: Marta, Maria, Tommaso, i discepoli… Gesù non si stanca di riportare alla nuova logica: la morte biologica è necessaria, esiste per quanto tragica, ma la vera vita continua. Infatti dice:

v. 23: ‘tuo fratello risusciterà’. Non dice: ‘io lo risusciterò’.

v. 24. Marta dice: ‘So bene che risusciterà nell’ultimo giorno’. È ciò che ha imparato a catechismo. Marta ragiona ancora con categorie vecchie. È ciò che i giudei le avranno certamente sussurrato nelle orecchie quando le hanno portato le condoglianze… ma non è questo il sapere di Gesù.

v. 25a Ora Gesù esce allo scoperto: io sono la risurrezione e la vita.

Traduciamo? Io non sono un taumaturgo, non sono un medico, non sono uno stregone, non sono un mago. Dentro quel sepolcro c’è un cadavere e continuerà a starci. Nessuno potrà riportarlo in vita. Si consumerà là dentro. Mettetevi bene in mente questa cosa qui!

Ma essendo Lazzaro amico e fratello, ha condiviso la mia vita, ha partecipato del mio stesso Spirito, Lazzaro – e non il suo cadavere – continua a vivere già ora!

Gesù è la risurrezione perché è la vita! L’ha detto in 14, 6: Io sono via, verità e vita.

Se partecipiamo di lui siamo viventi, ripieni del suo spirito, e non possiamo più morire. Cesserà è vero il nostro corpo, ma noi non possiamo più morire!

Attenti ai verbi: io sono -ora- adesso risurrezione e vita. E non: sarò la risurrezione, la vita.

Tutto questo viene espresso ulteriormente nel v. successivo:

v. 25b chi mi dà la sua adesione, quand’anche muoia, vivrà. Proviamo a tradurre? Alla nostra adesione egli risponde col dono dello Spirito. Ricordiamo 7, 39: ‘Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno». Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui’. Per cui, chi ha aderito a Gesù possiede una vita imbevuta dello Spirito. E questa ‘super vita’ non potrà conoscere la fine, neanche con la morte. Per cui in questo v. il termine risurrezione esprime ‘solo’ la sua vittoria sulla morte. È il caso di Lazzaro. Tutto questo è splendidamente già stato espresso nel cap. 5, 24: ‘In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita’. Attenti al tempo verbale: non viene detto ‘passerà un giorno dalla morte alla vita’, ma è passato!

Il passaggio dalla morte alla vita ‘per sempre’, si verifica dunque quando ‘si ascolta’ Gesù, ovvero quando gli si dà l’adesione. È allora che si riceve lo ‘Spirito vitale’ (7, 37).

Tutto questo viene ulteriormente ribadito nel

v. 26: ‘Poiché chiunque vive e mi dà la sua adesione, non morirà mai.

A questo punto c’è da chiedersi cosa significhi ‘dare l’adesione a Gesù’, aderire a Gesù.

Questo lo sappiamo chiaramente da 8, 51: «In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte». Ma cosa vuol dire – a sua volta – osservare la sua parola? Vivere l’unico grande comandamento dell’amore. Dunque potremmo riassumere così: chi ama, anche se muore, vivrà. Dunque, a conti fatti, la morte non esiste. Se non quella biologica.

Marta però pare non sapere tutto questo. Malgrado sia una ‘sorella’ della comunità nascente, amica di Gesù, è ancora rimasta radicata nella credenza giudaica, infatti abbiamo ascoltato: lo so bene che risusciterà nell’ultimo giorno. No – è come le dicesse Gesù – tuo fratello è già risorto, nel senso che non è mai morto! In quel sepolcro ci sono solo i suoi resti mortali.

Giovanni è come ci steffa facendo compiere un cammino pedagogico. Accompagna noi, ovvero la sua comunità, rappresentata qui da Marta e Maria a comprendere, o meglio ad entrare nella logica di Gesù.

Infatti Marta dice: ‘Sì, Signore, io credo che tu sei il Messia…’. Professione perfetta, compiuta di quella che dovrebbe essere la fede della Chiesa nascente. Gesù è Signore e Messia. Su questo non ci piove! Interessante che Gesù venga definito, oltre che Signore, Messia: l’unto, ovvero: nel centro dopo Cristo, si è ormai convinti che sia stato lo Spirito a fare di Gesù il Figlio di Dio, ovvero la presenza del Padre fra gli uomini.

Andiamo ora all’ultima parte.

Abbiamo Marta che, raggiunta la fede completa, va a chiamare la sorella Maria. Da notare tre cose:

1) Diventa il parallelo della chiamata dei primi discepoli all’inizio del vangelo di Giovanni. Al cap. 1 Andrea incontra Gesù e va a chiamare suo fratello Simone che diventerà Pietro. Filippo andò a chiamare Natanaele…

2) Marta dice ‘in segreto’… Perché? Siamo in un ambiente ancora ostile. I giudei cercavano di far morire Gesù, ricordate? La casa delle sorelle è piena di giudei che sono andati da loro a porgere le condoglianze, ma Gesù per loro è un nemico.

3) ‘Essa all’udire ciò, si alzò in fretta e uscì. Viene usato il verbo della risurrezione. Vi ricordate? Cap. 10, 3s: ‘le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori’. Prima lei è seduta, paralizzata dal dolore dentro un luogo di morte. Ora ascolta la voce e s’alza, risorge. Non è Gesù che entra nella casa del dolore, il recinto di Gv 10, ma la sua voce fa uscire fuori dalla casa del dolore, dal recinto di morte.

v. 31. I giudei non comprendono. Sono sordi a questa voce.

v. 32. Maria ripete lo schema già vissuto da Marta.

v. 33. Gesù vede Maria piangere, i giudei piangono. E lui che fa? Il testo, letteralmente, dice: ‘Si controllò e reagì’. Si tratta di un’energica opposizione. Reprime il proprio sentimento.

Il pianto di Maria e dei Giudei è un pianto ontologico, tocca l’essere, riguarda una perdita ‘totale’ dell’amico, e fratello Lazzaro. Per questi la morte s’è portata via tutto. Invece il pianto di Gesù sarà diverso, come vedremo, riguarderà la sfera della mancanza fisica, umana. Insomma, Maria e i giudei non hanno compreso chi fosse Gesù. Egli non è un maestro in più tra i tanti comparsi in terra di Palestina. Egli non offre un cammino diverso per giungere alla vita, ma una vita diversa, quella definitiva, che è la meta dal creazione stessa (14, 6). Per questo Gesù si controlla. Non vuole partecipare a questo pianto ‘disperato’ senza speranza.

v. 34: ‘Dove l’avete posto’? ‘Vieni e vedi’. Vi viene in mente qualcosa? Certo! ‘Signore dove abiti?’. Venite e vedete (Gv 1, 39). Il movimento dell’uomo verso Gesù si chiama fede; quello di Gesù verso l’uomo si chiama vita.

v. 35 Gesù piange. Sì, anche lui versa lacrime per l’amico, ma sono lacrime diverse da quelle dei giudei e delle sorelle. Questo pianto ci dice due cose.

Prima: Gesù piange perché ha perso un fratello, un amico. È un pianto umano. Gesù come tutti noi piange per la perdita fisica.

Seconda: Se dopo poco l’avesse effettivamente risuscitato che senso avrebbe avuto questo suo pianto? Nessuno. Questo ci dice ancora una volta, ce ne fosse bisogno, che l’uomo biologico che si chiamò Lazzaro starà lì, in quel sepolcro.

v. 38 Era una grotta.  Il sepolcro grotta richiama il sepolcro dei patriarchi. Lazzaro è andato a finire dove tutti i grandi della storia sono andati a finire: nel sepolcro.

La pietra ha un potente valore simbolico. Sulla morte è stata posta una pietra sopra! Finito, la morte ha concluso tutto.

Ma Gesù dice no!

v. 39. Togliete quella pietra. Non quella fisica. Ma quella mentale che voi avete posto sulla morte! Siete stati voi a porre la pietra tra la morte e la vita, tra i morti e i viventi. La morte non esiste dice Gesù. Lazzaro e quindi tutti gli uomini sono viventi anche se non ci sono più come c’erano prima. La morte biologica ha solo sancito questa grande verità!

Dovete togliere la pietra mentale che avete posto sui vostri defunti! Gv è come convinto che la sua comunità – qui rappresentata da Marta – pensi che la morte sia la fine di tutto. Non crede che l’adesione a Gesù abbia mutato la condizione dell’essere umano.

v. 40 Gesù rimprovera a Marta la sua incredulità. L’amico e fratello Lazzaro è già un vivente, ma a quanto sembra, né Marta né gli altri se ne stanno accorgendo. Abbiamo una comunità che si dice cristiana, ma solo a parole, in quanto ancora schiacciata dalla pietra tombale. Importante il verbo in bocca a Gesù: vedrai. È un chiaro riferimento a quanto precedentemente detto da Gesù a Natanaele “vedrai cose più grandi di queste” (1, 50). A cosa si riferiva qui Gesù? “Volgeranno lo sguardo verso colui che hanno trafitto’ (19, 37).

Marta deve aver fede a questa gloria di Dio, l’amore del Padre.

v. 41 Gesù levò gli occhi in alto. Riferimento a 8, 23: io appartengo a ciò che è in alto. Gesù appartiene alla sfera del divino, e con questo gesto lo mostra agli astanti.

v. 41 ‘Grazie Padre, per avermi ascoltato’. Attenti: il testo non dice che Gesù stia pregando! D’altronde questo verbo – pregare – in Gv non compare mai. Non sta dicendo: fa che ciò che sto compiendo vada a buon fine. Rende grazie all’Alto, al Padre, che gli ha dato tutto (“Il Padre ama il figlio e gli ha dato in mano ogni cosa’ 3, 35), ed è proprio per questo che non ha bisogno di chiedere. Splendido!

v. 42 Gesù è consapevole del legame che lo lega al Padre. E qual è? Semplice: ‘Io e il Padre siamo una cosa sola (10, 30); c’è semplice unità (Il padre è in me e io nel Padre 10, 38), tra loro vi è un disegno unico (5, 30; 6, 39s.), ma soprattutto il Padre non l’ha mai lasciato solo (8, 29).

Che sempre mi ascolti. Non può non ascoltarlo, perché una cosa sola col Padre. Ora, è necessario che anche i presenti comprendano questo legame incredibile che unisce il Padre – la sfera divina – e Gesù, perché prendano consapevolezza che anche loro ne sono partecipi! ‘E noi prenderemo dimora dentro di lui’  (14, 23).

Marta, la comunità, aveva sì dato la sua adesione a Gesù, ma è ancora ferma, bloccata nell’antica mentalità giudaica. Ma fra poco, quando vedrà ‘la sua gloria’ arriverà a credere in modo compiuto.

v. 43 Diede un urlo…. ‘Lazzaro vieni fuori’. Qui Gesù sta dicendo una cosa importante. Il sepolcro non è il luogo naturale per l’amico Lazzaro. È solo il luogo dei cadaveri, ma non dei viventi. L’amico Lazzaro è già il vivente, perché appartiene alla sfera di Dio che è il Dio dei vivi e non dei morti, come dice in Mt 22, 32.

v. 46 Attenti: chi esce da quel sepolcro? Un morto. Infatti il testo non dice ‘Lazzarò uscì’, ma il morto uscì. Se Gesù l’avesse risuscitato si sarebbe avuto: ‘Lazzaro, il vivente uscì’ e invece ‘Il morto uscì’. Ha le braccia, le gambe avvolte da bende funerarie. Ha il sudario sul volto.

E Gesù prontamente dice: ‘Questo cadavere lasciatelo andare’. Non lo consegna alla comunità, perché alla comunità appartiene Lazzaro vivente, non un cadavere. Tradotto: lasciate andare i vostri morti, quelli che stanno nei sepolcri… I vostri cari non sono lì, son già viventi, in mezzo a voi, anche se in una modalità per la quale non avete ora gli strumenti per vederli.

Lazzaro è nella sfera di Dio. Dicendo ‘scioglietelo’ sta invitando noi a scioglierci dalla paura della morte che ci paralizza, che ci lega. Se ci liberassimo da questa paura, saremmo anche in grado di dare la vita, come ha fatto Gesù. Potremo dare la vita nell’amore solo qualora saremo convinti di essere indistruttibili. Solo la certezza di avere la vita in pienezza, anzi di essere la vita, di essere viventi potrà convincerci di donarla totalmente, perché ci tornerebbe indietro moltiplicata.

Grazie!